Non sono affatto sicuro che questa terapia mi stia facendo bene, dottore. Rievocare il periodo successivo a quella notte mi fa un effetto più emetico che catartico, un po' come se qualcuno mi passeggiasse sullo stomaco con scarponi chiodati. Se proprio devo farlo, posso riuscirci soltanto raccontandolo al passato remoto con uno stile vagamente letterario, per distanziarlo il più possibile da me e sentire di meno il male che fa. Fortuna che ho studiato al classico. Nel corso dei giorni che seguirono la spiritualità di quella notte si trasformò, chissà come, in uno spasmodico bisogno fisico. Ben presto la mia presunta forza d'animo, della quale ero così orgoglioso, rivelò tutta la sua inconsistenza. Quando la rividi, qualche giorno dopo, mi bastò un'occhiata per comprendere che si sentiva come me. Non vedevamo l’ora di rimanere soli. Lei uscì per prima, io trovai una scusa e la raggiunsi subito. Durante il viaggio in macchina non dicemmo niente. Saltammo tutti i preliminari, ci togliemmo solo lo stretto indispensabile con gesti frenetici, in un silenzio irreale. Avevamo fretta, una fretta terribile di arrivare alla fine. Lo rifacemmo più volte, sempre con lo stesso esito. Poi rimanemmo a guardarci in silenzio, stupiti e increduli, come due naviganti scampati a un naufragio. Dopo quella volta ci vedemmo sempre più spesso. Non cercavo più scuse con i miei: uscivo di casa di nascosto, attento solo a non lasciar intuire chi fosse lei, e rientravo con la complicità di Teresa. Il giorno trascorreva in una continua narcosi, un inutile conto alla rovescia dei minuti che mi separavano da lei; le parole degli altri fluttuavano ovattate nel silenzio della mia mente, puri suoni privi di significato; subivo rassegnato le sfuriate di mio padre, ascoltavo indifferente le lamentele di mia madre. Sorridevo sempre, come un idiota. È la felicità a fare questo effetto. C'è una proporzionalità inversa tra l'intelligenza e la felicità, dottore: medici e filosofi dovrebbero approfondire l'argomento. I miei mi costrinsero a sottopormi a una visita medica nel timore che fossi drogato; siccome il nome della mia droga non stava scritto nei libri di medicina, ne conclusero che ero sano. Allora mi affidarono ad un analista, il primo di una lunga serie, ma dopo le prime due volte mi rifiutai di tornarci. Per punizione venni privato della libera uscita. Ne seguì un periodo in cui la nostra imprudenza rasentò la follia: con la scusa di aspettare il rientro di Michele, era lei a venire da me tutti i pomeriggi. Saremmo stati colti in flagrante chissà quante volte se non fosse stato per Teresa, che si frapponeva fra me e il resto della mia famiglia come un fedele cane da guardia, pur non nascondendo la sua totale disapprovazione per quella faccenda: quando la sentivo tossire in uno strano modo o passare l’aspirapolvere senza motivo davanti alla mia camera, sapevo che era venuto il momento di uscire allo scoperto col più innocente dei sorrisi. Conservo un ricordo nitidissimo di quei momenti. Ancora adesso la stessa scarica elettrica mi percorre la schiena quando rievoco le nostre sveltine in bagno, in cantina, nel ripostiglio delle scope (quell’odore di stracci e detersivo ha conservato per me una tremenda carica erotica), dovunque ci sorprendesse un’improvvisa fame che non era di sesso, o per lo meno non solo; è facile per un estraneo fare dell'ironia, ma io so troppo bene che era qualcosa di diverso: era una specie di languore che partiva dal fondo dello stomaco e toglieva ogni forza, un bisogno intollerabile da soddisfare immediatamente e a qualunque costo. Cominciava con uno sguardo di sfuggita seguito da una sferzata bollente nelle reni; poi era tutto un inseguirsi fra le stanze fino a trovare finalmente un angolo appartato. Un attimo solo, ma che attimo. Era quasi sempre lei a volermi, a prendermi. Non c’erano preliminari, io non dovevo fare nulla, era come lasciarsi divorare da una mantide. Sento ancora il suo respiro nei miei capelli, le sue labbra sul mio collo, le sue mani nei miei pantaloni, il bisogno di fare in fretta, il piacere che saliva bruciante, vertiginoso, quella sensazione calda e viscosa sul basso ventre, le ginocchia che cedevano, la schiena che scivolava contro il muro mentre lei mi dava la sua mano da mordere perché non bisognava fare rumore, potevano sentirci, qualche volta potevano perfino vederci, ma non me ne sarebbe importato niente, no, niente del tutto. La mia attuale fidanzata, alla quale devo questa cura, dice che col tempo sono diventato un discreto amante. Cazzate, dottore: butterei a mare tutta la mia presunta abilità amatoria in cambio di uno solo di quei momenti di sesso elementare, grezzo, primitivo. Avevo sempre la febbre e non mi ero mai sentito meglio in vita mia. Quanto a lei, non so cosa provasse esattamente, ma penso che si sentisse più o meno come me; con una differenza però: credo che mi temesse tanto più quanto più mi desiderava. È stato un terribile errore sottovalutare questa differenza. Per il momento in lei prevaleva ancora il desiderio, ma l’equilibrio era precario. Io no, non avevo paura. Mi lasciavo vivere con tutto me stesso. Ero un albatros, gareggiavo con i gabbiani, spalancavo le ali, erano ali bianche le mie, grandi, possenti, precipitavo in caduta libera, mi lanciavo in picchiata e poi abilmente cabravo e m’impennavo verso il sole, scendevo a sfiorare le cime degli alberi, sentivo il solletico delle foglie sulla pancia, la carezza dell’aria sul corpo, mi tuffavo nelle stelle, respiravo la luce, respiravo la notte, sentivo il vento fuori, il vento dentro. La mia divina incoscienza avrebbe subìto un duro colpo se avessi potuto prevedere che quella sarebbe stata per me la prima e l’ultima volta. Ero completamente inesperto e non potevo certo immaginare che con le altre sarebbe stato tutto diverso. A dire il vero lo intuivo, ma respingevo il pensiero. Mentivo a me stesso, mi dicevo che il sesso sarebbe stato sempre e comunque stupendo. Mi sbagliavo. Poche esperienze possono essere mediocri e frustranti come il sesso fatto con la persona sbagliata. Colgo l'occasione per ricordarti, dottore, che questo diario è coperto da segreto professionale. Solo una volta mi è capitato di vivere qualcosa di altrettanto intenso, ma quello era sesso sporco e non fa testo: tuffarsi in una fogna fa più effetto che nuotare in una piscina di acqua limpida, è ovvio. Ma con Antonia non ho mai avvertito nessuna sensazione di sporco. Niente avrebbe potuto convincermi che fosse peccato: come poteva essere peccato una cosa così bella? Quel delirio, se fosse durato ancora a lungo, ci avrebbe portati entrambi alla pazzia, il che per me non era un problema, ma per lei sì: aveva un fidanzamento e una carriera da mandare avanti. Era sempre più spaventata. Restava da vedere cosa sarebbe subentrato a quella prima esplosione dei sensi, e non ne avevo la minima idea. Forse mi sarei stancato di lei, pur rimanendole affezionato come un fratello; o forse, chissà, sarei potuto diventare il suo amante fisso. Fu una sorpresa per me scoprire che col passare delle settimane il bisogno di sesso andava pian piano placandosi, ma il mio sentimento non diminuiva né di intensità né di profondità. Avevo bisogno di lei anche solo per stare seduto al suo fianco, anche solo per guardarla lavorare. Se per un giorno non avevo sue notizie, mi sentivo ansioso e allarmato. Rivederla mi dava un'immensa gioia e un altrettanto immenso sollievo, come se fossi scampato ogni volta a un pericolo. Quando provai a dare un nome a quel mio sentimento, ne trovai solo uno: fui costretto ad ammettere che la amavo. Il giorno in cui compresi questa verità mi sentii folgorato dalla rivelazione. Era come se fossi stato investito di una dignità sacerdotale: mi era stato concesso il privilegio di amare sul serio, dal profondo dell’anima, e sentivo che era una cosa sacra. Trascorsi l’intera giornata seduto tra i filari di un vigneto su una collina dalla quale dominavo l’intera vallata senza essere visto. Tegame aveva capito, a modo suo, la solennità del momento: si era arrotolato nell’erba e si era messo a dormire cercando di non darmi fastidio. Credo di avere pregato Dio nel solo modo in cui ne sono capace, cioè ringraziandolo dal profondo del cuore. Quando finalmente tornai a casa lei era in ansia: trovò una scusa per rimanere sola con me in cucina e mi chiese cosa fosse successo. Io le dissi di stare tranquilla, le augurai la buona notte con un bacio sulla fronte ed andai a dormire, lasciandola stupefatta ma serena. Ero diventato lo scrigno di un tesoro, sapevo di doverne avere il massimo rispetto. Non mi ero mai sentito così. Di solito a questo punto i miei interlocutori occasionali arrivano tutti alla stessa conclusione: che il mio non era amore ma attrazione morbosa, dipendenza sessuale, un comportamento patologicamente deviato eccetera; tirano in ballo il complesso di Edipo e altre stronzate del genere. Evito di contraddirli, tanto è inutile, non possono capire. Io stesso, in seguito, non ho più capito e ho negato l'evidenza. Adesso so con certezza che avevo ragione: l'attrazione per lei era conseguenza, e non causa, dei miei sentimenti. Questa consapevolezza, come dicevo, non mi ha impedito di avere rapporti fisici con altre donne, ma li ha resi abbastanza insignificanti. Attualmente sono indifferente al sesso fin quasi all’impotenza. Anche con lei provavo sensazioni fisiche piuttosto vaghe, nel periodo in cui le cose non andavano più bene fra noi, però averla fra le braccia era per me ogni volta un'emozione immensa. Io non ho la pretesa di definire l'amore; non so come chiamare quel caos di emozioni contraddittorie, non so che nome dare al mio desiderio di renderla felice. Chiedo scusa ai professionisti della psiche, dottore, ma temo che dobbiate rassegnarvi al fatto che ogni tanto, semplicemente, ci s'innamora, ed è tempo perso farsi delle seghe mentali per cercar di capire il perché. All'epoca dei fatti l'istinto mi suggeriva che la via per renderla felice passava attraverso il sesso, ma non nel senso scontato che viene in mente a tutti. Odio dovermi sempre giustificare. Che razza di karma è il mio? Sono destinato ad essere sempre frainteso, nessuno è disposto a credermi neppure quando dico la verità; devo motivare tutte le mie affermazioni come se non fossero altro che pretesti per giustificare comportamenti aberranti. È un po' come dover svolgere continuamente un tema di maturità: "Il candidato spieghi esaustivamente i motivi per cui..." Ci proverò ancora una volta. In fondo siamo qui per questo, no? C'era in lei un fondo di solitudine, di tristezza incurabile, un senso di colpa del quale lei non era consapevole e di cui non ho mai capito il significato: ma non era importante capirlo, come in genere non è particolarmente importante la comprensione razionale delle cose; l'importante era sentirlo, cercar di curare il male. Osservandola dall'esterno, vedendola muoversi spigliata e sicura di sé, si poteva pensare che lei fosse davvero così, come credeva mio fratello. Ma io vedevo al di là dei suoi gesti, delle gambe accavallate, del reggicalze nero, del sorriso provocante, del suo modo di socchiudere gli occhi soffiando in alto il fumo della sigaretta. Certi silenzi, certi smarrimenti, certe durezze, certe improvvise dolcezze, il suo sforzo di nascondere la pena per gli esseri inutili e disprezzati, i relitti umani, i ragni schiacciati, le zanzare, i rettili, quel modo di mordersi le labbra attorcigliando una ciocca di capelli intorno al dito: io vedevo una bambina solitaria, poco desiderata, poco accarezzata, insicura davanti allo specchio che rifletteva le spalle ossute, le gambe magre. Lei non immaginava neppure che cosa mi passasse per la testa mentre facevamo l’amore. Se glielo avessi detto l'avrei ferita a morte. Quella bambina troppo magra aveva bisogno di carezze, ma non di quelle volgari degli uomini che l’avevano usata per soddisfare la loro voglia di sesso o di potere, e nemmeno di quelle superficiali di mio fratello. Michele non poteva capire: la sua filosofia di vita, tutta tesa all'azione, classifica come colpevole perdita di tempo ogni sguardo rivolto al di sotto dell'apparenza delle cose. Nessuno di quei personaggi era in grado di arrivare a lei. Sapevo già per intuito, prima di averlo sperimentato, della sua freddezza, della sua eccitazione intellettuale senza veri abbandoni: la bambina spaventata poteva arrendersi solo alle carezze di una madre. Ecco perché, nei primi tempi, sono stato di una dolcezza tutta femminile con lei. Prevengo un'altra obiezione: quella­ di non avere avuto rispetto per mio fratello e di non avere provato rimorso nei suoi confronti. È assolutamente vero, ma non riesco a vergognarmene. No, non sono un mostro, dottore. Il fatto è che, al di là di ogni evidenza, io ero certo che lei fosse destinata a me, non a lui. Per un imperdonabile errore del Demiurgo era venuta al mondo troppo presto: quando gli sviluppi del progetto l'avevano portata nei miei paraggi, un banale equivoco anagrafico aveva fatto credere a tutti che il predestinato fosse mio fratello. Non gliene volevo per questo, ma era evidente che era lui ad avere usurpato il mio posto, non il contrario. Lui non aveva nulla in comune con Antonia: erano, semplicemente, animali di due specie diverse. Ero felice, dottore, felice di una felicità perfetta; ed anche lei lo era. Qualsiasi cosa facessimo, con o senza sesso, galleggiavamo in una zona edenica e preconscia dell'essere in cui ci sentivamo perfettamente felici: questo non basta per dimostrare che non c'era niente di male nel nostro rapporto? È naturale che chi legge affermazioni del genere mi prenda per pazzo (fissazione ossessiva, vero dottore?), ma chi può dire cos'è la pazzia? È un dato di fatto che io non l'ho conosciuta: l'ho riconosciuta. Mi ha travolto da subito un'ondata di emozioni che non avevano niente a che fare col presente. Col tempo i ricordi hanno incominciato a riaffiorare alla mia mente: non si spiega in nessun altro modo il fatto che io sapessi sempre, nonostante la mia inesperienza, quali fossero i suoi bisogni segreti. E non si spiega neppure la forza dell'attrazione che spingeva irresistibilmente lei verso di me, suo malgrado. Proverò a chiarire il concetto con un esempio. Quell'anno c'erano i mondiali di calcio. Quasi tutti i maschi evoluti, in casi del genere, regrediscono allo stato di cavernicoli obbedendo al richiamo atavico del branco, e mio fratello non fa eccezione: aveva trasformato il nostro salotto in un accampamento, radunando poltrone e sedie davanti al televisore e costringendo la mamma, sempre indulgente nei confronti delle esigenze maschili, a sopportare l'invasione quotidiana di orde di amici; di sera si univa alla compagnia anche mio padre: era buffo vederlo ridiventare ragazzo e sgranocchiare noccioline e pop corn seduto vicino a Michele, litigando con lui sulle scelte del mister; a volte volavano anche gli insulti: essendo molto simili, infatti, amavano essere in disaccordo su tutto. A questa specie di ammucchiata generale partecipavano anche le fidanzate di turno, la cui funzione nel contesto era definibile così: tacere, ricevere pacche sul sedere quando segnava l'Italia, preparare il cibo per gli stanchi eroi del tifo. Solo quelle più altolocate o fornite di rotondità fisiche più evidenti godevano di un implicito lasciapassare e rimanevano sedute fra gli uomini, ignorando l'esistenza della cucina. Antonia non era fra queste. Sapevo che si sentiva violentata dalla volgarità della situazione, ed era effettivamente incredibile che mio fratello la relegasse al rango di una subalterna, ma non trovava il coraggio di ribellarsi. Accettava passivamente il suo ruolo, rintanandosi in cucina con Teresa e le sue compagne occasionali, scambiando con loro parole di circostanza che umiliavano la sua cultura e la sua intelligenza. Di tanto in tanto si avvicinava a mio fratello per porgergli un piatto o un bicchiere. Per lei era una sofferenza continua la presenza di Frédéric, sempre in compagnia di ragazze vistose che esibiva in pubblico senza riservare loro alcun tipo di attenzione. Gli passava davanti con un fruscio di calze; lui la ignorava con troppa evidenza, segno che la teneva d'occhio. Michele la attirava a sé per un attimo, dicendo al televisore grazie tesoro. Io, seduto sul divano in fondo alla stanza, osservavo la scena con disprezzo. Triste destino amare una donna vile. Se mio fratello mi ascoltasse in questo momento, vorrei dirgli quello che forse avrei dovuto dirgli allora: una donna, ove per donna intendo un essere umano di sesso femminile fornito di intelligenza e sensibilità, può perdonare molte cose ad un uomo, anche un tradimento; se comprende che il movente è forte, che tu sei in difficoltà, può decidere di venirti incontro e passare sopra a molte cose. Ma una donna non ti perdonerà mai di averla zittita perché dovevi seguire la partita o ascoltare il telegiornale: non c'è nessuna valida ragione per anteporre una trasmissione televisiva a lei, non è come innamorarsi di un'altra. Nel preciso momento in cui l'hai messa a tacere per ascoltare il notiziario regionale, hai perso il suo amore per sempre e ti meriti di essere tradito, cosa che lei presto o tardi farà, innamorandosi in genere del primo venuto. Io questo lo capivo bene, nonostante la mia giovanissima età, e mi meravigliavo che non ci arrivasse un individuo con un q.i. da club Mensa come mio fratello. A volte mi alzavo e andavo in cucina ad aiutarla. Mi mettevo accanto a lei a pelare patate e ad affettare cipolle. Le altre ragazze mi guardavano con stupore ma non osavano dire niente perché erano in casa mia. Teresa scuoteva la testa sorridendo. Antonia taceva e sapevo che me ne era profondamente grata. Una sera, mentre eravamo soli in cucina e stavamo lavando i piatti, intavolammo un curioso dialogo. - A te non piace il calcio? - Di solito no; però i mondiali sono un'altra cosa, mi piace guardarli. - Gusti da donna. - Sono una donna. - Le donne guardano i mondiali per i giocatori, non per il calcio. - È uno stupido luogo comune. - Lo so, l’ho detto apposta. - Per chi tifi? - Per l’Italia, anche se non credo che ripeterà l’exploit dell’’82. - Non per l’Olanda? - No, perché dovrei? Mia madre è olandese, non io. Era una grande tifosa di Cruyff. Ad ogni modo non mi dispiacerebbe troppo se l’Olanda vincesse. - È già ai quarti di finale. - Peccato che debba vedersela con il Brasile, non credo che ce la farà. - Difficile azzardare previsioni dopo l’eliminazione dell’Inghilterra. - A proposito dell'Inghilterra, che te ne pare di quel nuovo ragazzo del Manchester? - È molto bravo. - Bravo, eh? - Era un trabocchetto ingenuo e non ci sono cascata. - Ma dai? - Me l’hai chiesto perché ti assomiglia un po’. - Ma tu preferisci i bruni, vero? - Già. - Se ti piacciono i bruni perché non vai in salotto? - Risparmiati le battute. - Mi è venuta un'idea migliore: c'è un televisore in camera mia; possiamo guardarli lì, i mondiali. Che ne dici? - Sei matto? - Pensi che qualcuno sentirà la nostra mancanza? - Quanto a questo, non si accorgono neppure se siamo vivi o morti. - Bene. Io prendo la torta di mele e il cioccolato; tu pensa alle bibite. Da quella sera i mondiali li seguimmo così, chiusi a chiave in camera mia, senza che in effetti nessuno prestasse la minima attenzione alla nostra assenza di novanta minuti più tempi supplementari. Alle partite alternavamo i cartoni animati: mi ero procurato alcune videocassette con vecchi cortometraggi di Walt Disney e Tex Avery e ci divertivamo un mondo a guardarli. Sapevo che aveva bisogno di un grosso risarcimento. Mentre sullo schermo Maradona passava la palla al Wilcoyote, Batistuta dribblava Paperino e Baggio vinceva un contrasto con Duffy Duck, noi facevamo l'amore in un modo che è sempre stato il mio preferito. Non sono un esperto di posizioni erotiche e non ho alcun interesse per questo genere di cose: con le altre donne, anzi, sono di una sconfortante prevedibilità. Ma con Antonia era diverso, forse perché il sesso con lei aveva un senso metaforico. Mi piaceva tenerla in braccio senza quasi muovermi, lasciando che facesse tutto lei, ascoltando in cuffia la musica che amavo, appoggiato allo schienale del letto. In quei momenti, come ho già detto, non pensavo a me stesso: ero un'antenna, tutto sintonizzato su di lei, pronto a percepire ogni sua minima reazione fisica. Le sussurravo all'orecchio frasi complici, le dicevo guardati nello specchio sei bellissima, pensa se ti vedesse Frédéric adesso, puoi pensare a lui se vuoi, lo so che ti piace, non avere paura non mi offendo, e lei a poco a poco si smarriva in un'estasi incosciente. Ogni tanto la imboccavo con pezzi di torta e cioccolata. In questo modo la costringevo a prendersi quelle rivincite che da sola non era in grado di concedersi, immergendola in un benessere di tutti i sensi, consolandola, per così dire, a trecentosessanta gradi. ... ENGLISH TRANSLATION: The wind inside I'm not at all sure this therapy is doing me any good, Doctor. Recalling the period after that night has more of an emetic than cathartic effect on me, a bit like someone walking on my stomach with hobnailed boots. If I have to do it, I can only do it by recounting it in the distant past in a vaguely literary style, to distance it as much as possible from me and feel less the pain it causes. Good thing I went to classical school. In the course of the days that followed, the spirituality of that night turned, who knows how, into a spasmodic physical need. Soon my supposed strength of mind, of which I was so proud, revealed all its insubstantiality. When I saw her again a few days later, one look was enough for me to realise that she felt the same way as I did. We were looking forward to being alone. She left first, I found an excuse and joined her. During the car journey we said nothing. We skipped all foreplay, we only took off the bare essentials in frantic gestures, in an unreal silence. We were in a hurry, a terrible hurry to get to the end. We did it again and again, always with the same outcome. Then we stood looking at each other in silence, amazed and incredulous, like two sailors who had escaped a shipwreck. After that we saw each other more and more often. I no longer made excuses to my parents: I would sneak out of the house, careful only not to let anyone guess who she was, and return with Teresa's complicity. The day passed in a continuous narcosis, a useless countdown of the minutes that separated me from her; the words of others floated muffled in the silence of my mind, pure sounds without meaning; I suffered resignedly my father's outbursts, listened indifferently to my mother's complaints. I was always smiling, like an idiot. It is happiness that has this effect. There is an inverse proportionality between intelligence and happiness, doctor: psychiatrists and philosophers should look into it. My parents forced me to undergo a medical examination in fear that I was drugged; as the name of my drug was not written in the medical books, they concluded that I was healthy. Then they referred me to an analyst, the first of a long series, but after the first two times I refused to go back. As punishment, I was deprived of my freedom of movement. There followed a period when our recklessness bordered on madness: with the excuse of waiting for Michael's return, she came to me every afternoon. We would have been caught in flagrante delicto who knows how many times had it not been for Teresa, who stood between me and the rest of my family like a faithful watchdog, even though she did not hide her total disapproval of the affair: when I heard her coughing in a strange way or vacuuming for no reason in front of my room, I knew the moment had come to come out into the open with the most innocent of smiles. I have a very clear memory of those moments. Even now the same electric shock runs down my spine when I recall our quickies in the bathroom, in the cellar, in the broom closet (that smell of rags and washing-up liquid has retained for me a tremendous erotic charge), wherever we were surprised by a sudden hunger that was not for sex, or at least not only; it is easy for an outsider to be ironic, but I know too well that it was something different: it was a kind of languor that started from the bottom of the stomach and took away all strength, an intolerable need to be satisfied immediately and at any cost. It began with a sidelong glance followed by a hot lash in the kidneys; then it was all a chase through the rooms until finally finding a secluded corner. Just a moment, but what a moment. It was almost always her wanting me, taking me. There was no foreplay, I didn't have to do anything, it was like being devoured by a mantis. I can still feel her breath in my hair, her lips on my neck, her hands in my trousers, the need to hurry, the pleasure that rose burning, dizzying, that warm, viscous sensation on my lower abdomen, my knees buckling, my back sliding against the wall as she gave me her hand to bite because we didn't have to make noise, they could hear us, sometimes they could even see us, but I wouldn't have cared, no, not at all. My current girlfriend, to whom I owe this cure, says that over time I have become quite a lover. Bullshit, doctor: I'd throw all my supposed amatory skills overboard in exchange for just one of those moments of elementary, raw, primitive sex. I was always feverish and had never felt better in my life. As for her, I don't know what she felt exactly, but I think she felt more or less the same as me; with one difference though: I think she feared me all the more the more she wanted me. It was a terrible mistake to underestimate this difference. For the moment, desire still prevailed in her, but the balance was precarious. Not me, I was not afraid. I let myself live with all my being. I was an albatross, I competed with the seagulls, I spread my wings, my wings were white, large and powerful, I plunged in free fall, I swooped and then skilfully climbed and soared towards the sun, I descended to touch the treetops, I felt the tickle of the leaves on my belly, the caress of the air on my body, I dived into the stars, I breathed the light, I breathed the night, I felt the wind outside, the wind inside. My divine recklessness would have suffered a severe blow if I could have foreseen that this would be the first and last time for me. I was completely inexperienced and could not imagine that with the others it would be any different. I actually sensed it, but I rejected the thought. I lied to myself, I told myself that sex would always and in any case be wonderful. I was wrong. Few experiences can be as mediocre and frustrating as sex with the wrong person. I take this opportunity to remind you, doctor, that this diary is covered by professional secrecy. Only once did I experience something equally intense, but that was dirty sex and it doesn't count: diving into a sewer has more effect than swimming in a pool of clear water, that's obvious. But with Antonia I never felt any dirty feeling. Nothing could have convinced me that it was a sin: how could something so beautiful be a sin? That delirium, if it had lasted much longer, would have driven us both to madness, which for me was not a problem, but for her it was: she had an engagement and a career to run. She was more and more frightened. It remained to be seen what would follow that first explosion of the senses, and I had no idea. Perhaps I would grow tired of her, while remaining attached to her like a brother; or perhaps, who knows, I might become her steady lover. It was a surprise for me to discover that as the weeks went by the need for sex slowly subsided, but my feeling did not diminish in either intensity or depth. I needed her even if only to sit by her side, even if only to watch her work. If I did not hear from her for a day, I felt anxious and alarmed. Seeing her again gave me immense joy and equally immense relief, as if I had escaped danger each time. When I tried to give a name to that feeling, I found only one: I was forced to admit that I loved her. The day I realised this truth I felt thunderstruck by the revelation. It was as if I had been invested with a priestly dignity: I had been granted the privilege of loving in earnest, from the depths of my soul, and I felt it was a sacred thing. I spent the whole day sitting in the rows of a vineyard on a hill from which I dominated the entire valley without being seen. Tegame had understood, in his own way, the solemnity of the moment: he had rolled himself up in the grass and gone to sleep trying not to bother me. I think I prayed to God in the only way I am able, which is to thank him from the bottom of my heart. When I finally got home she was anxious: she found an excuse to be alone with me in the kitchen and asked me what had happened. I told her to stay calm, wished her a good night with a kiss on the forehead and went to sleep, leaving her stunned but serene. I had become a treasure chest, I knew I had to have the utmost respect for it. I had never felt this way before. Usually at this point my casual interlocutors all come to the same conclusion: that mine was not love but morbid attraction, sexual addiction, pathologically deviant behaviour and so on; they bring up the Oedipus complex and other such crap. I avoid contradicting them, it is useless anyway, they cannot understand. I myself, later on, no longer understood and denied the evidence. I now know with certainty that I was right: the attraction for her was a consequence, and not a cause, of my feelings. This awareness, as I said, has not prevented me from having physical relations with other women, but it has made them quite insignificant. I am currently indifferent to sex to the point of almost impotence. I also had rather vague physical sensations with her at the time when things were no longer going well between us, but having her in my arms was an immense thrill for me every time. I do not pretend to define love; I do not know what to call that chaos of contradictory emotions, I do not know what name to give to my desire to make her happy. I apologise to the professionals of the psyche, doctor, but I am afraid you must resign yourselves to the fact that every now and then, one simply falls in love, and it is a waste of time to jack off trying to understand why. At the time, my instincts suggested that the way to make her happy was through sex, but not in the obvious sense that comes to mind for everyone. I hate always having to justify myself. What kind of karma is mine? I am always destined to be misunderstood, nobody is willing to believe me even when I tell the truth; I have to justify all my statements as if they were nothing but excuses to justify aberrant behaviour. It's a bit like having to continually do a maturity essay: "Can the candidate thoroughly explain why..." I will try one more time. After all, that's what we are here for, right? There was in her a depth of loneliness, of incurable sadness, a sense of guilt of which she was unaware and of which I never understood the meaning: but it was not important to understand it, just as a rational understanding of things is generally not particularly important; the important thing was to feel it, to try to cure the evil. Observing her from the outside, seeing her move gaily and confidently, one might have thought she was really like that, as my brother believed. But I could see beyond her gestures, her crossed legs, her black garter belt, her provocative smile, her way of squinting while blowing up cigarette smoke. Certain silences, certain bewilderments, certain hardnesses, certain sudden sweetnesses, her effort to hide her pity for useless and despised beings, human wrecks, crushed spiders, mosquitoes, reptiles, that way of biting her lips, twisting a lock of hair around her finger: I saw a lonely child, unwanted, uncared for, insecure in front of the mirror that reflected her bony shoulders, her skinny legs. She had no idea what was going through my head while we were making love. If I had told her, I would have wounded her to death. That too skinny child needed caresses, but not the vulgar ones of the men who had used her to satisfy their lust for sex or power, nor the superficial ones of my brother. Michael couldn't understand: his philosophy of life, all bent on action, classifies as a guilty waste of time any glance below the surface of things. None of those characters were able to reach her. I knew by intuition, before I experienced it, of her coldness, her intellectual excitement without real abandon: the frightened child could only surrender to a mother's caresses. That is why, in the early days, I was an all-female sweetness to her. I anticipate another objection: that I had no respect for my brother and felt no remorse for him. This is absolutely true, but I cannot be ashamed of it. No, I am not a monster, Doctor. The fact is that, beyond all evidence, I was certain that she was destined for me, not for him. By an unforgivable mistake on the part of the Demiurge, she had come into the world too soon: when the developments of the project had brought her into my vicinity, a trivial demographic misunderstanding had led everyone to believe that the predestined was my brother. I didn't blame him for that, but it was clear that he was the one who had usurped my place, not the other way around. He had nothing in common with Antonia: they were, quite simply, animals of two different species. I was happy, doctor, happy with perfect happiness; and so was she. Whatever we did, with or without sex, we were floating in an Edenic, preconscious zone of being in which we felt perfectly happy: isn't that enough to prove that there was nothing wrong with our relationship? It is only natural that those who read statements like this take me for a fool (obsessive fixation, right Doctor?), but who can say what madness is? It is a fact that I did not know her: I recognised her. I was immediately overwhelmed by a wave of emotions that had nothing to do with the present. With time, memories began to resurface in my mind: there is no other way to explain the fact that I always knew, despite my inexperience, what her secret needs were. Nor does it explain the force of attraction that irresistibly drove her towards me, despite herself. I will try to clarify the concept with an example. That year it was the football World Cup. Almost all evolved males, in such cases, regress to caveman status by obeying the atavistic call of the pack, and my brother was no exception: he had turned our living room into a camp, gathering couches and chairs in front of the TV and forcing my mother, always indulgent towards male needs, to put up with the daily invasion of hordes of friends; in the evenings my father also joined the company: it was funny to see him become a boy again and munch on peanuts and popcorn sitting next to Michael, arguing with him about the coach's choices; sometimes even insults would fly: being very much alike, in fact, they loved to disagree about everything. The girlfriends on duty also took part in this kind of general gathering, whose function in the context could be defined as follows: to keep quiet, to receive pats on the back when Italy scored, to prepare food for the tired cheering heroes. Only those of higher rank or with more obvious physical roundness enjoyed an implicit pass and sat among the men, ignoring the existence of the kitchen. Antonia was not among them. I knew she felt violated by the vulgarity of the situation, and it was indeed unbelievable that my brother relegated her to the rank of a subordinate, but she could not find the courage to rebel. She passively accepted her role, holed up in the kitchen with Teresa and her occasional companions, exchanging small talk with them that humiliated her culture and intelligence. From time to time she would approach my brother to hand him a plate or a glass. Frédéric's presence was a constant pain for her, always in the company of showy girls whom he displayed in public without paying any attention to them. She walked past him with a rustle of stockings; he ignored her too conspicuously, a sign that he was keeping an eye on her. Michael drew her to him for a moment, saying to the TV set "thank you, darling". I, sitting on the sofa at the back of the room, watched the scene with contempt. Sad fate to love a vile woman. If my brother were listening to me right now, I would like to tell him what I probably should have told him then: a woman, where by woman I mean a female human being endowed with intelligence and sensitivity, can forgive a man many things, even a betrayal; if she understands that the motive is strong, that you are in trouble, she may decide to come to your aid and pass over many things. But a woman will never forgive you for shutting her up because you had to watch the game or listen to the news: there is no good reason to put a TV programme before her, it is not like falling in love with someone else. The very moment you have silenced her to listen to the regional news, you have lost her love forever and deserve to be betrayed, which she will do sooner or later, generally falling in love with the first comer. I understood this well, despite my very young age, and I was amazed that an individual with a Mensa club IQ like my brother didn't get it. Sometimes I would get up and go to the kitchen to help her. I would stand beside her peeling potatoes and slicing onions. The other girls would look at me in amazement but would not dare say anything because they were in my house. Teresa shook her head, smiling. Antonia kept silent and I knew she was deeply grateful. One evening, while we were alone in the kitchen and washing the dishes, we engaged in a curious dialogue. - You don't like football? - Usually not; but the World Cup is something else, I like to watch it. - Women's tastes. - I am a woman. - Women watch the World Cup for the players, not for the football. - It is a stupid cliché. - I know, I said it on purpose. - Who do you root for? - For Italy, although I don't think it will repeat the exploit of '82. - Not for Holland? - No, why should I? My mother is Dutch, not me. She was a big Cruyff fan. Anyway, I wouldn't mind too much if Holland won. - It is already in the quarter-finals. - Too bad it has to face Brazil, I don't think it will make it. - Difficult to hazard predictions after England's elimination. - Speaking of England, how about that new kid from Manchester? - He is very good. - Good, huh? - It was a naive trick and I didn't fall for it. - Really? - You asked me because he looks a bit like you. - But you prefer dark haired ones, don't you? - Yeah. - If you like them, why don't you go to the living room? - Save the jokes. - I've got a better idea: there's a TV in my room; we can watch the World Cup there. What do you say? - Are you crazy? - Do you think anyone will miss us? - As for that, they do not even notice whether we are alive or dead. - Good. I'll get the apple pie and chocolate; you get the drinks. From that night on, we followed the World Cup like this, locked in my room, without anyone actually paying the slightest attention to our absence of ninety minutes plus extra time. We alternated the games with cartoons: I had obtained some video cassettes with old Walt Disney and Tex Avery shorts and we had a lot of fun watching them. I knew she needed a big payback. While on screen Maradona passed the ball to Wilcoyote, Batistuta dribbled Donald Duck and Baggio won a fight with Duffy Duck, we made love in a way that has always been my favourite. I am not an expert in erotic positions and I have no interest in this kind of thing: with other women, on the contrary, I am of a discouraging predictability. But with Antonia it was different, perhaps because sex with her had a metaphorical meaning. I liked to hold her without hardly moving, letting her do everything, listening to the music I loved on headphones, leaning against the back of the bed. In those moments, as I have already said, I was not thinking about myself: I was an antenna, all tuned in to her, ready to perceive her every slightest physical reaction. I would whisper complicit phrases in her ear, I would tell her look at yourself in the mirror, you are beautiful, think if Frédéric could see you now, you can think of him if you like, I know you like him, don't be afraid, I won't be offended, and she would gradually lose herself in unconscious ecstasy. Every now and then I would feed her pieces of cake and chocolate. In this way I was forcing her to take those revenges that she was unable to give herself, immersing her in a well-being of all senses, consoling her, so to speak, at three hundred and sixty degrees.