Fra i pregi che riconosco ad Antonia non rientra quello del tempismo: ha il dono di scegliere sempre il momento meno opportuno per parlarmi di questioni serie, o che a lei sembrano tali. Ad essere sincero sono convinto che tutti i suoi problemi nascano dalla sua scarsa attitudine sintetica, dalla sua tendenza a riservare eccessiva attenzione ai dettagli, dallo squilibrio fra il molto tempo che concede al pensiero e il poco che dedica all'azione: questo non solo la ostacolerà in qualsiasi tipo di carriera, compresa quella universitaria, da lei velleitariamente intrapresa, ma rischia di compromettere la sua stessa percezione della realtà. Temo che la mia vita accanto a lei sarà movimentata da inutili scossoni esistenziali, frutto dei fantasmi della sua mente iperattiva che non trova adeguato sfogo nella prassi quotidiana. E questo mi riporta alla domanda che spesso mi viene posta e che io stesso mi pongo continuamente: perché proprio lei? Che è come dire: perché non una delle tante ragazze altolocate che frequentano la nostra casa e non fanno nulla per nascondere la loro disponibilità nei miei confronti? La risposta, in parte, è scontata fino alla banalità: perché nessuna di quelle ragazze è lì per me. Se fossi un operaio e girassi su una Panda di seconda mano, non una di loro mi degnerebbe di uno sguardo: e questo a parità di mezzi fisici e intellettuali. Intendiamoci, non sono un ingenuo: so benissimo che questo è normale nel mio ambiente, ma voglio essere io a decidere cosa è normale per me. Ad ogni modo non è tutto qui, evidentemente. Molti la giudicano un’arrampicatrice sociale, ma è un giudizio che non tiene conto di alcuni elementi noti soltanto a me. In sintesi, quando l'ho conosciuta Antonia non aveva la più pallida idea di quale fosse la mia condizione economica e io non intendevo farglielo sapere, anche perché - non mi vergogno ad ammetterlo - non era una cosa seria. Per quello che mi ripromettevo di fare con lei era più che sufficiente stare sulle generali. L'ho conosciuta per caso una mattina di fine aprile: ero alla libreria universitaria di via Sant'Ottavio e stavo cercando un libro d'arte da regalare a mia madre; lei stava sfogliando dei testi di greco per la sua tesi di dottorato. Ho bighellonato fra gli scaffali fingendo di essere molto indeciso sulla scelta, mentre lei mi seguiva con la coda dell'occhio. Lì per lì ho visto soltanto una bella ragazza rossa di capelli, con lunghe gambe eleganti: nessun colpo di fulmine, niente di simile ad un innamoramento; diciamo che ho provato nei suoi confronti un interesse tipicamente maschile. Le ho chiesto, con l'aria di chi si è perso in un mondo non suo, se potesse gentilmente indicarmi in quale zona si trovassero i libri d'arte, e lei, sorridendo indulgente del mio disorientamento, mi ha aiutato a cercarli. Poi abbiamo scambiato quattro chiacchiere al bar di fronte e l'ho riaccompagnata a casa, rigorosamente a piedi: la BMW mi avrebbe tradito. Troppo tardi mi sono accorto che avevo al polso il mio Rolex d'oro, ma me lo sono tolto al bar, con la scusa di andare in bagno. Niente, insomma, poteva farle pensare che io fossi figlio di un industriale. Ci siamo piaciuti e ci siamo rivisti altre volte. Non l’ho mai invitata a casa mia. Al ristorante ho sempre accettato di pagare alla romana, come voleva lei. Quando andavo a prenderla usavo l’utilitaria di mia madre. La portavo al cinema, oppure in montagna, oppure in qualche piscina pubblica: all’inizio era più che altro curiosità, mi divertiva frequentare quella ragazza così diversa dalle altre del mio ambiente. Indossava giacche maschili su gonne a ruota anni cinquanta, un mix che trovo particolarmente erotico. Non è stato difficile, lo confesso, portarmela a letto: ha ceduto quasi subito, il che dal mio punto di vista non ha deposto a suo favore. L'ho giudicata una ragazza facile e l'ho subito disprezzata. Non pensavo affatto di farne la mia compagna di vita, semplicemente mi piaceva frequentarla. Poi la situazione ha preso una piega imprevedibile: per qualche settimana non è stato possibile vederci, per tutta una serie di contrattempi legati con il mio lavoro; abbiamo perso i contatti e non ci siamo più cercati, o meglio, io non l'ho più cercata. Lei certamente era troppo orgogliosa per cercare me. Devo ammettere che non me ne sono affatto preoccupato: ho ricominciato con la mia solita vita, sentendomi quasi sollevato di aver deposto il fardello di quello strano rapporto che incominciava a diventare un po' ingombrante. Dopo un po' di tempo il suo silenzio ha cominciato a pesarmi. Mi sono accorto che non riuscivo a distrarmi con le ragazze occasionali con cui l'ho rimpiazzata. In sintesi, mi annoiavo. Qualche settimana dopo, con una faccia tosta che non credevo mi appartenesse essendo io in genere un tipo molto diretto, ho rifatto il suo numero e l'ho salutata con un "Ehilà" molto sportivo, come se niente fosse successo: mi ha risposto con tono gelido e formale e ha riattaccato quasi subito. Ecco, a quel punto mi sono dovuto fermare a riflettere: mi sono reso conto che ero io ad avere perso parecchi punti ai suoi occhi; non c'era motivo per cui lei volesse avere ancora a che fare con un cretino che se l'era portata a letto per poi piantarla in asso senza nemmeno una scusa, tanto più che lei poteva pensare che io fossi un buono a nulla, con cui non valeva la pena di perdere altro tempo. È stato molto difficile riconquistare la sua fiducia: ho impiegato più di un mese a convincerla a frequentarmi di nuovo. Nel frattempo ho interrotto tutti i rapporti con le altre ragazze: in caso contrario la storia con Antonia sarebbe finita prima ancora di incominciare. Ci tengo a precisare che tutto questo non ha niente a che vedere con il grande amore, come quello di mio padre e mia madre; e aggiungo: per fortuna. Io non voglio grandi amori: per lo più sono fonte di inutile sofferenza. Non sarei capace di amare nessuna donna in quel modo, tanto più che la passionalità è estranea al mio modo di essere. Il dispendio di tempo e di energie che tutto ciò comporta mi è inconcepibile; passare il tempo a soffrire per un rapporto malsano è un lusso che non posso permettermi, senza contare che lo giudico un comportamento da veri miserabili: ci sono troppe cose importanti da fare nella vita. Ad ogni modo era venuto il momento di fare una scelta coerente e di scoprire le carte, e l'ho fatto: dopo qualche settimana mi sono deciso a portare Antonia a casa nostra e l'ho presentata ai miei. Era carina ed elegante quel giorno, aveva indossato per l'occasione un completo azzurro polvere che faceva un bel contrasto con i suoi capelli color rame raccolti in uno chignon morbido. Appena ha visto il grande cancello di ferro battuto che dà accesso al viale della nostra villa in collina, ricordo, è ammutolita di colpo; in tutto il pomeriggio avrà pronunciato sì e no dieci parole, rispondendo a monosillabi ai convenevoli dei miei; ad un certo punto si è voltata verso di me e mi ha guardato con odio: era chiaro che non vedeva l'ora di andarsene. L'ho riaccompagnata a casa. Durante il viaggio di ritorno non ha detto una sola parola ed è rimasta a braccia conserte; poi, quando siamo arrivati di fronte al portone del modesto palazzo di periferia in cui abita, è scoppiata a piangere e mi ha gridato con rabbia che non voleva mai più rivedermi. Ha detto che si sentiva tradita e presa in giro. L’ho stretta tra le braccia, ma lei mi ha respinto con tutte le sue forze, prendendomi perfino a calci e a pugni come un animale selvatico impazzito. Quando sono riuscito ad ammansirla un po' le ho spiegato il senso del mio comportamento: volevo essere sicuro che volesse proprio me e non la mia condizione economica. Questo l'ha calmata immediatamente, perché si è sentita presa in seria considerazione. Ho cercato di farmi perdonare in qualche modo, ma non è stato semplice: l'orgoglio è il tratto dominante del carattere di Antonia. Questo episodio, fra l'altro, mi ha dato la certezza che volevo proprio lei; da un'altra non sarei riuscito a sopportare un comportamento così inconsulto: l'avrei giudicata una pazza isterica. Non nego che con i miei genitori non sia stato facile: erano piuttosto perplessi di fronte alla mia scelta, ma se c'è una cosa di cui sono fiero è il fatto di non avere mai permesso loro di interferire con la mia sfera personale. Non hanno nulla di cui lamentarsi, ho sempre fatto del mio meglio per essere un buon figlio e un sostegno per tutta la famiglia: ma la mia vita è mia, le mie scelte le faccio io. Pochi mesi dopo ci siamo fidanzati ufficialmente; Antonia mi ha informato della sua intenzione di continuare a lavorare dopo il matrimonio, sebbene non sia affatto necessario, e io rispetto le sue scelte, anche quelle perdenti in partenza. Mi ispira tenerezza la sua volontà di farcela con le sue sole forze in un ambiente come quello universitario, dove se non hai i giusti appoggi non vai da nessuna parte, e lei non li ha: è una ragazza di origini modeste e troppo orgogliosa per piegarsi a condizioni umilianti. Vorrei poterla aiutare, ma, a parte il fatto che lei non accetterebbe, nell’ambiente di lettere non conosco nessuno: sono laureato in economia e commercio. Ad ogni modo riesco a farla sentire serena, garantendole se non altro di potersi occupare in futuro delle sue attività preferite senza l'assillo di doversi mantenere economicamente. Ma la sua è un'anima troppo inquieta e insoddisfatta per essere felice: lei non sa cosa sia la vera felicità, non si abbandona mai, neppure a letto. Subisco con rassegnazione le sue crisi ricorrenti, senza indulgere ad alcun compiacimento psicanalitico: Antonia, per stare bene, avrebbe bisogno di un sistematico esercizio di semplificazione razionale, ed io, probabilmente, sarei la persona giusta per questo, se avessi soltanto lei cui pensare. Purtroppo non è così: la nostra situazione economica sta diventando preoccupante e tocca a me farmene carico. Mio padre è prossimo alla pensione e ci sono diverse urgenze da fronteggiare: la nostra fabbrica di tessuti per rivestimenti di automobili risente pesantemente della crisi dell'indotto Fiat, come un po' tutto il settore tessile nel Biellese. A differenza di mio padre, che si illude che si tratti di una crisi passeggera, io so che non è così: l'attuale crisi del settore va inquadrata in una tendenza di lungo periodo strutturalmente negativa; prevedo conseguenze rovinose dopo la fine delle limitazioni previste dall’Accordo Multifibre. La concorrenza dei paesi in via di sviluppo, soprattutto la Cina, sarà quasi impossibile da fronteggiare per noi piccoli imprenditori; già adesso il trend nell’andamento dell’indice di produzione europea è negativo, con un declino medio del 4,3% per anno. Lavoro fino alle nove di sera e spesso, dopo cena, faccio il punto della situazione con mio padre: perciò non mi resta molto tempo per Antonia. Ma è anche per lei che lo faccio: perché Antonia, al di là della sua apparenza svagata e distratta, è piuttosto sensibile agli aspetti materiali dell'esistenza e non so fino a che punto si sia resa conto che io sono la sua unica possibilità di assicurarsi un tenore di vita all'altezza delle sue aspettative. Se lo avesse capito eviterebbe di crearmi problemi inutili, evidentemente. Oggi ad esempio, benché sapesse che alle sei devo incontrare il nostro commercialista per tentare di risolvere un imbarazzante problema di arretrati d’imposta, ha insistito per vedermi a tutti i costi; e così le ho dato appuntamento per le quattro e mezzo in piazza San Carlo, al nostro solito bar. La mia mente è già dal commercialista quando entro nel locale e la trovo seduta a un tavolo, intenta a versarsi un tè. Appena mi vede sorride fiduciosa e mi tende la mano. Mi chino a baciarle la guancia e mi siedo; ordino un caffè. Attendo pazientemente per dieci minuti che si decida a parlare, ma lei tergiversa: continuo a guardare l'orologio di nascosto; alla fine rompo gli indugi: - Amore, scusa se t'interrompo, ma abbiamo solo venti minuti a nostra disposizione, dopodiché sarò costretto a lasciarti per arrivare in orario all'appuntamento. Perciò, se hai qualcosa da dirmi, fallo subito. Esita. Tento di scherzare: - Comunque, di qualsiasi cosa si tratti, avremo tutto il tempo di parlarne stasera a casa mia, e in un'atmosfera molto più intima. Le sfioro una coscia sotto il tavolo, percorrendo con le dita la riga nera della calza. La sento rabbrividire. - È proprio di questo che volevo parlarti, Michele. Purtroppo per qualche giorno non potremo vederci. - Perché? - Mia madre non si sente bene e la sera preferirei rimanere a casa con lei. - Mi spiace: cos’ha la mamma? - Niente di grave: è solo che l’influenza di quest'anno lascia brutti strascichi. Ha una tosse terribile e si sente molto debole. - Salutala tanto da parte mia, e se c’è qualsiasi problema chiamami. Lo sai che conosco diversi specialisti. Rimane in silenzio per qualche secondo. Alla fine le chiedo: - Qualcosa non va, Antonia? - Niente. - Come niente? Non è vero. Cos'hai? - Sono solo un po' scossa per via di una brutta storia capitata ad una mia amica. - Una che conosco? - No. È una mia collega di università. - Cosa le è successo? - È stata violentata da un amico. Non riesco ad evitare di scoppiare a ridere. - Violentata? Ma dai. - Non capisco cosa ci trovi da ridere. - Scusa amore, ma se lei stessa dice che era un amico, è evidente che non è stata violentata. - Più che altro è evidente che lui non era un amico. - Ed è altrettanto evidente che lei lo sapeva, su: non essere ingenua. Ma non hai caldo con quella maglia a collo alto? - No, anzi, ho freddo. - Sei sicura di star bene? - Le tocco la fronte - Mi pare che tu abbia qualche linea di febbre. Forse ti sei presa anche tu l’influenza, come tua mamma. - Sto bene, non preoccuparti. Ma perché dici che lei lo sapeva? - Dov'è successo il fattaccio? - A casa di lui. - Allora lo vedi che ho ragione? Non è mica un teppista che l'ha aggredita a tradimento in un portone: lei ha accettato di andare a casa sua. - Certo, per bere qualcosa. - Amore, per bere qualcosa ci si trova al bar. - Ma non capisci? Lui l'ha costretta con la forza! Ha le guance chiazzate di rosso: quasi certamente ha l’influenza, anche se dice di no. Non devo farla agitare così. Guardo l'orologio, rendendomi conto di essere stretto tra due fuochi. - D'accordo, diamo a Bruto quel che è di Bruto. - Mi prendi in giro? - Massì, sto cercando di sdrammatizzare. Voglio dire, diamo pure al bruto la sua parte di responsabilità: ma la tua amica è corresponsabile di ciò che le è accaduto e non escludo che in qualche modo lo abbia provocato. La parità fra i sessi implica la capacità da parte della donna di assumersi le sue, di responsabilità, altrimenti si è comunque bisognosi di tutela, a prescindere dall'età e dal sesso. - Cosa vuoi dire? - Voglio dire che la tua amica ha dimostrato scarsissimo buon senso, per non dire che si è comportata da vera cretina. E poi, se violenza c'è stata, perché non va a denunciare il violentatore? Antonia tace con gli occhi bassi. - Comunque, amore, non vedo perché il caso di una tua amica debba coinvolgerti tanto. - Perché una cosa del genere può capitare a tutte. - Questo proprio no: una ragazza con la testa sul collo non si mette in certe situazioni. Ad ogni modo, lo sai, a me piace essere concreto: l'importante è limitare i danni. Spero che la tua amica abbia preso le sue precauzioni per evitare una gravidanza indesiderata. - Certo che le ha prese. - E che l'amico violentatore fosse sano. Sai, si rischia l'aids con certe leggerezze. - Non è un tipo frivolo. - E magari è anche bello. - Sì, lo è. - Sono sempre più convinto che alla tua amica l'esperienza non sia dispiaciuta. Comunque, a questo punto, non vedo il problema. - Il problema è che la mia amica è fidanzata. - In questo caso le conviene tenere il fidanzato all'oscuro della cosa. Se è un tipo geloso, la tua amica corre qualche brutto rischio. - Non credo che lo sia. - In ogni caso il loro rapporto è destinato a risentirne. Io non sono né geloso né possessivo, ammetto di poter sbagliare e ammetto che anche gli altri possano sbagliare, ma per quanto mi sforzi di essere razionale e tollerante, una cosa del genere non mi farebbe piacere. No, proprio per niente. Anzi, a dirla tutta non so proprio come reagirei. Perciò ti conviene tacere. - Mi conviene? - Le conviene. - Il fatto è che lei si sente profondamente umiliata, non riesce più ad avere rispetto per se stessa. E non riesce... non riesce più a farsi toccare da nessun uomo. Sorrido, le dò un bacio in fronte e mi alzo. - Be' tesoro, questi sono veramente cavoli suoi. Adesso scusami, faccio tardi dal commercialista. Ci sentiamo stasera. Salutami la mamma, e se hai bisogno, mi raccomando... Accenno al gesto di telefonare. Le faccio una carezza sul viso e corro a pagare il conto per tutti e due. Solo più tardi, mentre sto guidando nel traffico cittadino, mi rendo conto che non ha risposto al mio saluto. Ma è tipico di Antonia avere di questi malumori improvvisi, destinati a passare come i temporali estivi. Non ci faccio caso, anche perché, come avevo previsto, sono maledettamente in ritardo.