Non saprei da che parte incominciare per delineare il mio autoritratto. Suppongo però che sia indispensabile, visto che me lo chiede con tanta insistenza. Comincio da un dettaglio: i dettagli, come lei m’insegna, sono essenziali nei ritratti. Ha presente i coniugi Arnolfini? Quell'incredibile particolare dello specchio che riflette la scena alle spalle svelando la finzione, il tappeto, la vetrata, gli zoccoli, la frutta, il cagnolino, tutto riprodotto con una precisione sbalorditiva. I pittori fiamminghi riservano un'attenzione maniacale ai minimi dettagli: nei loro dipinti gli oggetti acquistano una stupefacente valenza simbolica. Non lo trova fantastico? Io no. Detesto la pittura fiamminga. In quel quadro ci sono ben quattro punti di fuga, si rende conto? Gli italiani usano un unico punto di fuga posto al centro dell'orizzonte, tutto è perfettamente strutturato e ordinato, con rapporti precisi tra le figure e con un'unica fonte di luce che definisce le ombre. È così che si fa. Ma torniamo al mio autoritratto. Sfogliando l'album di famiglia che le ho fornito la scorsa settimana su sua espressa richiesta, e che vorrà gentilmente restituirmi, avrà notato che mi si vede spesso tirarmi indietro di fronte ai baci dei parenti, voltare la faccia, addiritura ripararmi con le mani per evitare il contatto fisico. Questo è ciò che si potrebbe considerare un dettaglio rivelatore: ho sempre detestato essere toccato. La vicinanza degli altri mi infastidisce, mi limita. Odio parlare, a maggior ragione di stupidaggini: la gente non parla, chiacchiera. Detesto esprimermi in modo informale e approssimativo; faccio eccezione per talune espressioni inglesi, ma solo perché sintetizzano efficacemente concetti complessi. Amo i cavalli di razza, le lunghe cavalcate serali, le escursioni in alta montagna, la natura selvaggia in cui posso immergermi completamente senza pensare nel senso stretto del termine. Negli ultimi mesi però qualcosa è cambiato, ed è per questo che sono qui: la solitudine della natura mi opprime, mi manda messaggi in codice che non riesco a decifrare, è diventata occasione di meditazioni tanto intense quanto inutili. Sento che vorrei un amico. Ma, come diceva il mio maestro di scherma, se uno non ha mai avuto degli amici, in generale è perché non ne ha bisogno. Saggia considerazione, non trova? Io no. Il mio maestro di scherma è un fesso. La butta sul tecnico, ma la scherma è una disciplina che si fa con la testa prima che con le gambe o con la mano. L'elevata velocità richiesta dalla scherma al sistema nervoso la pone in una situazione di privilegio per l'osservazione dei meccanismi mentali. Si deve capovolgere il normale approccio alla scherma: prima della tecnica, sono da comprendere i processi mentali che la determinano. Questo si chiama strategia, richiede intelligenza e freddezza: serve per raggiungere gli scopi prefissati con il minimo sforzo ed è fondamentale nella vita. Perciò la scherma è maestra di vita. In realtà sono perfettamente in grado di capire da solo cosa mi impedisce di avere un amico: la stessa ripugnanza che mi impedisce di baciare le donne sulla bocca. L'indiscrezione, l'invadenza, il contatto intimo, la reciproca infezione. Il contatto ravvicinato infetta, sia esso fisico o psicologico. Sarebbe opportuno sviluppare una più attenta riflessione su questo tema e arrivare ad imporre una sorta di distanziamento obbligatorio, salvo forse per finalità riproduttive. Non dimentichiamo comunque che esiste la fecondazione in vitro, una soluzione auspicabile sotto molti punti di vista, se non altro perché più igienica. Il mio amico ideale ha un profilo ben preciso: è qualcuno che non conosca nulla di me e che non sia curioso di conoscermi, che si adatti ai miei umori senza discuterli; un essere che mi faccia compagnia con la sua sola presenza fisica. Un cane, dice lei? Forse. O forse un vegetale, magari un'orchidea carnivora. Ho appena compiuto ventinove anni e sono laureato in ingegneria industriale, a pieni voti ovviamente; al momento lavoro presso un'azienda privata dove mi occupo di sviluppare programmi per determinare livelli d'inventario per le produzioni e permettere l'uso ottimale di macchinari, materiali e risorse. Da mio padre, il celebre neuropsichiatra ginevrino che ogni tanto avrà visto in televisione, ho ereditato la statura e la corporatura atletica. Mia madre invece è di sangue arabo: probabilmente è a lei che devo il colorito olivastro della pelle e i capelli neri. Dicono che facciano un bel contrasto con il mio sorriso, ma non sorrido quasi mai. Perché dovrei sorridere? Lei m’insegna che il primo ad esaminare il sorriso fu Charles Darwin, che lo definì un atto universale non legato al contesto culturale. Tuttavia gli scienziati hanno identificato sei tipologie di sorriso diverse, a seconda di quali muscoli delle labbra, delle guance o del viso vengono coinvolti. Ebbene, l’unico sorriso genuino è il sorriso di Duchenne: breve, simmetrico, che coinvolge labbra e occhi. Siccome non mi riesce bene, scarto a priori la possibilità di sorridere. Il mio bisnonno materno era di origine saracena: da lui ho ereditato il taglio degli occhi esotico e il mio secondo nome, Valentino: in onore di Rodolfo, naturalmente. Sulle donne questo mix di tratti somatici anomali e patologie psichiche ha un effetto particolarmente eccitante, per cui posso dire senza falsa modestia di averne molte ai miei piedi. Peccato che io non sappia, letteralmente, cosa farmene. Le donne sono poco portate per la spiritualità, anche le migliori: generally speaking la banalità è nella loro natura, il loro ideale medio è sposare i calciatori. Sì, ci sono state anche donne come Ipazia, ma statisticamente le eccezioni non contano. Ci sarà un motivo se le attività più alte dello spirito umano, la filosofia, la musica, la matematica, sono quasi esclusivamente maschili. Ad ogni modo non è per questo che non m’innamoro. Vede, il fatto è che parlare, come scrivere, è una gran perdita di tempo; però, se insiste, le chiarirò ugualmente il concetto. Il cosiddetto amore è una falla: intendo una falla nel sistema di autodifesa. Un individuo sano antepone se stesso a tutto il resto per semplice istinto di sopravvivenza: l'amore intacca questo meccanismo autodifensivo, elimina la percezione del pericolo, è una forma di follia. Prova ne sia che le persone innamorate si comportano in modo imbecille e autolesionistico: lo dimostra l'irrazionalità delle loro azioni, la stupidità dei loro discorsi. Ho smesso di stimare alcuni miei conoscenti, che consideravo persone razionali, sentendoli pronunciare affermazioni alogiche o paralogiche sotto l’effetto dell’ispirazione amorosa. Provo vergogna per loro, tanto più che in quei momenti si credono particolarmente originali. Tuttavia la solitudine, come ho detto, ultimamente mi pesa. Contrariamente a quello che sta pensando, il problema non è il sesso; non ho preconcetti contro il sesso, che rientra fra le attività naturali e non necessarie come il pedalare in bibicletta, ma prima devo essere certo di poterlo dominare: non deve trasformarsi in una dipendenza. Non si stupisca, anche noi ingegneri conosciamo Epicuro: ho frequentato un ottimo liceo classico; a parte il fatto che per capirlo bastano il semplice buon senso e un po' di capacità di osservazione. Alcuni fra i miei conoscenti, per esempio, assecondano i loro istinti praticando il turismo sessuale in Thailandia, una zona piena di graziose puttanelle in erba: le sembrerà incredibile, ma costoro non solo non nascondono agli altri questa deprecabile debolezza, ma la esibiscono proiettando diapositive agli amici: organizzano serate apposite, come se ci fosse qualcosa di interessante nel vedere all'opera bambine di otto anni morte di fame che fanno sesso orale. Comportamenti del genere sono utili per capire fino a che punto un essere umano possa degradarsi a causa del sesso. Per questo mi sono imposto alcuni mesi di assoluta astinenza frequentando chiese gotiche deserte; ho passato interi pomeriggi in contemplazione delle vetrate attraversate dal sole, immerso nel caleidoscopio divino delle loro luci. Ho letto da qualche parte che la vetrata, come l'intera cattedrale gotica, è un archetipo svelato dalla luce, e che grazie alle vetrate la mente istintiva e olografica associa immagini, pensieri, e l'animo puro genera risonanze con quello che Jung chiama l'inconscio collettivo. Sebbene mi sembri una fenomenale cazzata, mi ha dato da pensare mentre rimanevo lì dentro per ore a fissare come un idiota quei vetri colorati. Da ingegnere posso dirle invece che senza la regolarità del progetto non ci sono forme risonanti e moltiplicanti: la cattedrale gotica è una struttura armonica fondata su precise regole geometriche ripetute, soprattutto la sezione aurea. Di qui il suo fascino, che, sebbene sembri spirituale, è essenzialmente matematico. Rimanevo lì fino al tramonto. È un'ora mistica, sa? I luoghi sacri la esaltano. Intendiamoci, non sono religioso, anche se ho studiato dai Gesuiti - o forse proprio per questo. Il comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso" mi è sempre sembrato poco più che una geniale battuta di spirito. Diciamo che mi è servito per temprare il mio carattere: ora credo di essere abbastanza forte, ed è venuto il momento di dimostrarlo. Da qualche tempo frequento la villa di Jacopo Kellermann. Il figlio maggiore, Michele, è iscritto come me al Caprera; abbiamo scoperto di avere delle cose in comune, equitazione, tennis, canottaggio, bridge. Un mese fa ho conosciuto Antonia, la sua fidanzata. Il nome corrisponde alla tipologia, nomen omen: è una donna fredda e poco femminile, con la pelle chiara da rossa; uno strano sguardo, occhi grigi che ti lasciano appiccicato addosso qualcosa ogni volta che ti guardano; un corpo androgino di cui mette in risalto l'unico punto forte, le gambe. La scelta di Michele mi ha colpito, soprattutto perché quella donna non è una di noi. È chiaro da tutto, dall'abbigliamento privo di gusto, dalle mani ordinarie, dai capelli tinti con un henné scadente, dalla risata volgare, dalle interiezioni che usa. Le ragazze del nostro giro hanno i capelli lisci, le dita affusolate, si muovono in un altro modo. Sospetto che sia perfino di origine meridionale. In ogni caso non è un cavallo di razza. Non è innamorata di Michele. Lui forse, non so. In me suscita un misto di disgusto e curiosità. Un cocktail insolito, un punto di partenza interessante. È assistente alla facoltà di lettere classiche, un'attività senza futuro. Quella poveretta non ha nessuna prospettiva di carriera: non è abbastanza determinata da sfondare nel suo campo né abbastanza puttana da portarsi a letto un professore. In più perde tempo con attività ridicole e umilianti: Michele ha la pretesa che dia lezioni private a suo fratello, una nullità adolescente con qualcosa di ambiguo - le nullità ambigue sono per lo più affascinanti, come in genere gli esseri inutili e decorativi - e lei ha accettato senza pretendere alcun compenso. Ha equivocato sul mio conto: siccome la osservo, pensa di piacermi. Da tutta una serie di dettagli ho capito che è la persona giusta per il mio esperimento. Ora però mi scuserà, ma devo interrompere la chiacchierata: sono atteso per il torneo di bridge. Gioco in coppia con Sebastian, un italo-australiano che declina in modo spettacolare la quinta nobile. Come lei m'insegna, il segreto per vincere è quello di dichiarare meglio degli altri e giocare, il più sovente possibile, il contratto giusto, avendolo, però, preventivamente dichiarato. Cito un esempio: Bocchi e Duboin giocano un sistema a base naturale quinta nobile con mille convenzioni. Ma la base è quella: Majeure Cinquième. La scuola dichiarativa italiana da Chiaradia in poi è e resta la prima al mondo. Dimenticavo: stasera il mio avversario è Michele. Non ricordo con chi giochi in coppia, ma a tutti gli effetti non è rilevante.