- Non mi spiego quest’afa ad aprile. Che dici, sarà l’effetto serra? - È possibile. - Secondo te qual è la causa del riscaldamento globale? Si sentono un sacco di cazzate in tv: gli scienziati danno la colpa all’inquinamento, alle mucche, perfino alle piante. Sembrano un branco di idioti. - Prima di tutto bisognerebbe capire se ci sia il riscaldamento globale: non è affatto sicuro. E poi, quand’anche ci fosse, non è detto che il responsabile sia l’uomo: i dinosauri si sono estinti molto prima che arrivassimo noi a inquinare il pianeta. - Dici che potrebbe essere una gigantesca montatura? - Non lo escludo. - Ma per quale scopo? Se è per eliminare il genere umano posso capirlo, in fin dei conti siamo come le cimici: troppi, invadenti e puzzolenti. Ma le mucche, le piante... - Chissà. - Scusa prof, ti dispiacerebbe far finta di ascoltarmi? Io ti parlo di problemi seri e tu rispondi a monosillabi. E mi sbadigli in faccia. - Scusami. - Ho paura che presto sarai costretta a prendere sul serio i problemi seri. Non da me, ci penserà qualcun altro a costringerti. - Qualcun altro chi? Lo sai come la penso, ragazzo, non è la prima volta che ne parliamo: moriremo seppelliti da montagne di rifiuti, ma senza scendere dalla macchina e con la sigaretta in bocca. - Intanto comincia a spegnere la tua, di sigaretta. Ma che fai, sei matta? Butti il mozzicone nell’erba? La vostra è una generazione senza speranza: e poi vi lamentate di noi giovani. - La butto nell'acqua, contento? - Proprio per niente: mi inquini il fiume. - Te lo inquino? - Lo usano anche i latini, no? Il dativo comecazzosichiama. - Etico. E poi, a voler essere precisi, questo non è un fiume, ma un torrente: siamo sull’Orco, non so perché sei voluto venire fin qua. - Perché è pulito. Comunque io punto alla massima semplificazione: se c'è acqua che scorre si chiama fiume, senza tanti fronzoli. - Perle di saggezza quest'oggi. Sentiamo, dinne un'altra. - Se ha le penne e vola si chiama uccello. Semplice e sintetico, no? - E se cammina su due zampe e ha poco cervello? - Pollo, ovvio. - Oppure? - Emmanuel? - Bravo, vedo che fai progressi. - Io sarò anche scemo, ma voi linguisti ne avete di tempo da perdere. - Tu non sei scemo. - Pure se lo fossi, credimi, sarebbe l'ultimo dei miei problemi. Dammi quel mozzicone, ci penso io: lo sbriciolo e lo sotterro. - Sono tutti così i tuoi coetanei? Dovresti fare il prete, la guardia forestale, che ne so; a parte il fatto che stai solo cercando di distrarmi. - Da cosa lo deduci? - Dal fatto che meni il can per l'aia. - Touché. - Apri il libro. - Che pagina? - Lo sai benissimo. Leggi e traduci. - Bìa ùn hòsper apò tòn Seirenòn... - No, fermo: Seirènon, non Seirenòn. - È così importante? - Se c'è una cosa che non sopporto è il greco letto male. Bisogna rispettare scrupolosamente tutti gli accenti e gli spiriti, nessuno escluso: su questo non transigo. Forza, ricomincia. Così va meglio, ci siamo quasi. Ora traduci. - Facendomi violenza, dunque, fuggo via da lui come dalle sirene tappandomi le orecchie, per evitare di invecchiare seduto accanto a lui. Ma quindi Alcibiade era innamorato di Socrate? - Non interromperti, va' avanti. - ...e spesso sarei felice di vederlo morto; ma se questo accadesse, so bene che soffrirei molto di più; sicché non so più che cosa farne di quest’uomo. - C'è un participio predicativo: lo riconosci? - Ovviamente no. - Lo sapevo: quando ti deciderai a ripassare il participio? Te l'ho già detto almeno venti volte. Prendi la grammatica. Non lì, più a destra: ti ci sei sdraiato sopra. - È il mio desiderio inconscio di sopprimerla. Comunque sei tu a menare il can per l'aia: non hai risposto alla mia domanda. - Quando ti ci metti sei proprio noioso, ragazzo. - Io noioso? Sei tu che sei incontentabile: ho preso una cotta per Catullo, sta incominciando a piacermi perfino Platone, e tutto quello che trovi da dire è che sono noioso! - "Perfino" Platone! Grazie della concessione. Comunque non ci siamo, Emmanuel: così non va. - In che senso non ci siamo? Perché non ho ripassato il participio? - È tutto il tuo atteggiamento che non va: ti sembra normale startene spaparanzato nell’erba mezzo nudo mentre io cerco di farti lezione? - Cos'ha che non va questa posizione? - È poco professionale. - Professionale? - Certo: bisogna rispettare i ruoli, e tu non lo stai facendo. Io sono la tua insegnante, non una tua compagna di scuola con cui puoi metterti in libertà. - Mettermi in libertà? - E poi rischi di addormentarti, se continui a stare sdraiato. - Non preoccuparti, resterò sveglio: mi stanno dando una mano le mosche. - Basta: siediti. Mettiti composto, altrimenti me ne vado. E abbottonati la camicia. - Okay. Cioè, va bene. Ma adesso dimmi, per favore: com'era Alcibiade? È una regolare domanda da alunno a insegnante, sei tenuta a rispondere. - Bellissimo. - E tu che ne sai? - Lo so perché lo dicono tutti. Lo dice anche Plutarco nella sua biografia. - Oh, finalmente facciamo un po' di gossip filologico: non vedevo l'ora. - Quanto sei scemo, Emmanuel. - Lo so, è una dote naturale. Allora, che dice Plutarco? - Che era il più bello degli Ateniesi. Dice anche che aveva la erre moscia e camminava con la testa un po' piegata di lato. - Così? - Non fare il buffone. E poi dice che faceva impazzire uomini e donne. - Figo. - Non lo metto in dubbio, ma era arrogante e violento: da ragazzino ha picchiato il suo maestro di flauto e un giorno ha perfino tagliato la coda al suo cane. - Sul maestro non mi pronuncio, ma il cane perché? - Così, senza nessuna ragione seria. Per far parlare di sé e distrarre la gente dai suoi intrighi politici. - Questo non è bello. Povero cane. - No, non lo è. Ma tante cose di lui non sono belle. - Come te lo immagini? - Un bestione ringhioso: era un molosso di una razza molto rara. - Dicevo Alcibiade. - Lui? Bruno, con lineamenti pronunciati e un fisico possente. Un tipo alla Ricky Shayne. Scusa, dimenticavo: è preistoria, non puoi conoscerlo. - E invece lo conosco: uno dei Mods. Ti sembrerà strano, ma ho una certa cultura musicale. Quindi ti piacciono i tipi volgari? - L’abbondanza di mezzi fisici non implica necessariamente la volgarità. - Da come lo descrivi assomiglia un po' a quel tizio italo-francese che giocava a tennis ieri con mio fratello... Come si chiama? - Vuoi dire Frédéric? Comunque non è italo-francese, è di origine svizzera. - Ecco, sì: Frédéric Bergamelli. - Lui è tutt'altro che volgare: a parte i mezzi fisici, ha classe e stile da vendere. - Ti piace? - Potresti mandare il tuo cane a scavare un po' più in là? Mi ha riempito la gonna di terra. - Che fai professoressa, cambi argomento? - Be', dai, come fa a non piacere Freddy? - Freddy? Siamo già a questo punto? Se fossi al posto di mio fratello ti prenderei a schiaffi. - Ma siccome non sei al posto di tuo fratello, il discorso finisce qua. - Già. - Vuoi deciderti ad aprire la grammatica, per cortesia? - No. M'è passata la voglia. Vado a fare il bagno con Tegame. - Il bagno ad aprile? Tu sei matto. - Perché? Fa un caldo tremendo e sono venuto all'Orco proprio perché è pulito e si può fare il bagno. Vieni anche tu? - Non ho il costume. - Neppure io: è un problema? - Certo che lo è. - Oh scusi, professoressa. - Evita le facili ironie, per favore. - E tu i falsi pudori. - Perché falsi? - Dai, vieni a fare il bagno: ti giuro che terrò gli occhi chiusi. - Non se ne parla nemmeno. - Dovevo aspettarmelo: sei vecchia, professoressa. - Grazie di avermelo ricordato. - Dovere. Io vado. ... - Asciugati, ché ti prendi un accidente. - Sì mamma. - Non stare all'ombra bagnato. Prendi l'asciugamano. - Yes mom. - Mettiti la camicia. Sei proprio buffo così arruffato; vieni qua che ti asciugo i capelli. - Ora mi scrollo come un cane, così ti bagno tutta la gonna. Poi non si mette la gonna per venire al fiume: si mettono i jeans. - Ma che gusto ci trovi a fare il bagno nel torrente? Hai la piscina a casa. - Sarebbe come chiedere a un uccello perché preferisce volare piuttosto che stare in gabbia. Ma già, dimenticavo, forse tu preferisci la gabbia. - Dipende dalla gabbia. - Anche se fosse d’oro, professoressa, è finta, è morta. Come la piscina, come l'acquario. - Potresti andare in montagna. I tuoi hanno preso in affitto una baita ristrutturata a San Sicario, ci sono stata lo scorso week-end con tuo fratello: è bellissima. - Ah, ti ha portata anche lì? - Certo, perché no? - Giusto: un posticino defilato al riparo da sguardi indiscreti. - Peccato non saper sciare. A te non piace? - Sì, mi piace e so sciare abbastanza bene; non come mio fratello che ha vinto diverse gare, ma me la cavo. È l'ambiente che non mi piace, pieno di ricchi snob. - Non hai tutti i torti. Anzi, mi sa che hai ragione. - Che ti prende? Di colpo sei diventata triste. - Niente. - Come niente? Guarda che faccia hai! - Mi è venuto un dubbio. - Che dubbio? - All'improvviso mi sono resa conto che tutto quello che stiamo facendo non ha senso. Tu vai benissimo così come sei, non serve a niente quello che ti insegno; anzi, credo che sia sbagliato: rischio di snaturarti. - Stai scherzando, vero? Tu sei il mio futuro. - Il tuo futuro? - Insomma, vuoi lasciarmi qui a ruzzolarmi per terra come un cane per tutta la vita? Sotto sotto lo so che sono un essere umano. - Ma se mi sfuggi come un’anguilla. - Dico sul serio, prof: comincia a piacermi studiare. E questo mi secca, sai? Avevo giurato a me stesso di odiare la scuola per sempre. - Lo dici solo per farmi contenta. - Ovvio. - Che stronzo. Ora siediti, dobbiamo ripassare il participio. - Non ora, dai. Ho bisogno di starmene un po’ in pace con me stesso, non ti ascolterei. Metti su quel cd, per favore? Grazie. - Che strano questo pezzo. - È un po' pesantuccio per una ragazza come te. - Pensi che quello che non scandalizza te possa scandalizzare me? - Non è che lo penso: ne sono assolutamente certo. - Non riesco a capire cosa dice, è uno slang impossibile. - Lasciami cercare un sinonimo decente: "deflorami"? - Eh? - All'interno della copertina ci sono i testi: leggiteli da sola. - Ah, ecco: ora capisco. - Senti, facciamo un patto: io ascolto la mia musica e tu leggi i tuoi libri, così passiamo un quarto d'ora senza romperci la scatole a vicenda. - Non sono mica scandalizzata. Anzi, mi piace, è un testo intenso: mi ricorda Catullo, Rimbaud... - Non deve per forza ricordarti qualcuno. Keep calm and try to relax, professoressa. (Musica e silenzio). - Perché bruno? - Perché bruno chi? - Alcibiade. - Stai ancora pensando a lui? Che ne so, il bruno è più passionale. - Che razza di banalità, professoressa! Sono veramente deluso. - Spiacente di averti contrariato. - Non ti piace il biondo? - Meno del bruno. - Già, dimenticavo che le rosse… - Le rosse cosa? - Niente. Comunque il bruno segna in maniera troppo marcata il confine tra maschio e femmina. Non mi piace quello che è troppo preciso nel sesso. - Strani gusti, ragazzino. - Strani perché? Ti sembra normale essere attratti dalle sporgenze fisiche? Tette, culi, muscoli? - Certo che è normale. - Anche tu come tutti gli altri, vedo. La gente chiama normali le cose volgari. I miei compagni dicono che vorrebbero farsi le ragazze fighe: ecco, "farsela" è volgare e anche “figa” è volgare. A me fa schifo quello che è volgare. In generale poi non mi piace l’attivo. - Se vogliamo essere precisi, “farsi” qualcuno non è attivo: è medio d’interesse. - Grazie della puntualizzazione: allora diciamo che non mi piace il medio d'interesse. - In che senso non ti piace? - Nel senso che preferisco il passivo. È la natura che ti fa: non decidi tu di nascere, non decidi tu di vivere, non decidi tu di ammalarti e di morire. Tanto vale lasciarsi fare, non credi? - No. Proprio per niente. È un punto di vista molto pericoloso, Emmanuel, non mi piace affatto che tu lo pensi. - Pericoloso è vivere, professoressa, comunque tu la metta. (Un lungo silenzio). - Spiegami il participio. - A cosa devo questa iniziativa? - Attenta, prof: se continui a farmi domande, prima o poi sarò costretto a risponderti.