- Così non va, amore: avevamo fatto un patto. - Lo so, Gianni. - Da un po' di tempo stai trovando tutte le scuse per non fare a botte, e questo non è onesto. I patti sono patti. Picchiami. Si distende sul letto sorridendo, in attesa che io mi sdrai addosso a lui per ingaggiare una di quelle surreali lotte finte che sono per lui il surrogato del sesso. Fingo di avventarmi contro di lui e gli afferro i bicipiti, spingendogli un ginocchio contro una coscia. - Più forte, cucciolo: così non mi fai neanche il solletico. - Ma Gianni, ho paura di farti male. - Picchiami sul serio, non in questo modo ridicolo e fumettistico! Tu sei un tipo da fumetti, lo sai? - Lo so, me lo hanno detto in parecchi. - Gli occhiali me li sono tolti, quindi puoi prendermi a ceffoni. Rassegnato, esitante, gli mollo un ceffone abbastanza violento. Sorride. - Usa anche le ginocchia, dai… Così, bravo, ci siamo quasi. Lotto con lui, che è disteso supino sul letto sotto di me. Gli mordo quasi forte un orecchio, gli dò qualche ginocchiata qua e là, gli afferro i polsi fingendo di volerlo tenere fermo mentre lo malmeno per finta. Di punto in bianco lui inizia a opporre resistenza, strappa i polsi dalle mie mani e mi rifila un cazzotto tutt'altro che delicato. Resto un po' stordito, ma poi continuo il "gioco", come lo chiama lui: un gioco che promette di diventare sul serio piuttosto violento, data l'energia che Gianni ci sta mettendo. Il suo corpo snello e muscoloso possiede ancora una forza che stento a dominare: si ribella, mi ribalta sul letto e mi morde sul serio una spalla, lasciandoci un segno rosso che certamente diventerà un livido. Poi mi assesta una ginocchiata tra le cosce che mi fa vedere tutte le stelle del firmamento, nessuna delle quali mi piace particolarmente. Mi ribello a mia volta, allontanandolo da me e ribaltandolo supino sul letto. Mi guarda con una luce furiosamente beata negli occhi. - Bravo - sussurra, e mi afferra i capelli, rovesciandomi la testa all'indietro. Il mio istinto di maschio si risveglia, aizzato dalla protesta dei miei testicoli doloranti: ora lotto sul serio, cercando di avere la meglio su di lui. Ci prendiamo a pugni e a ginocchiate, infilandoci in mezzo qualche morso. All'improvviso, con uno scatto ferino di energia incontrollata, lui mi abbatte sul letto distendendosi sopra di me e tenendomi i polsi saldamente ammanettati sopra la testa con dita che sembrano una morsa d'acciaio. Resto a fissarlo sbigottito. - Ora ti scopo - mi dice. - Gianni - inizio, non sapendo come bloccarlo. So troppo bene che questa cosa non deve accadere, e non solo perché è proibita dai nostri patti. Ma lui scoppia a ridere. - Per finta, scemo che non sei altro. - Ah be', allora se è per finta… E grazie dello scemo. - Sì, amore mio, sei terribilmente scemo: non capisci mai gli scherzi. - Il fatto è che non aveva proprio l'aria di essere uno scherzo, Gianni. Continuando a stringermi i polsi, Gianni immerge il viso nel cuscino accanto alla mia testa e rimane immobile, come pietrificato. Sembra caduto in trance. - Ti sto scopando, cucciolo, lo senti? Non mi resta che assecondare la sua follia. - Sì Gianni, lo sento: mi stai facendo malissimo. - Non preccuparti, dopo un po' passa e vedrai che ti piace un sacco. - Dopo un po' quanto? - Un po'. - Hai ragione, adesso incomincia a piacermi. - Visto? Ora aumento il ritmo, ti piacerà sempre di più. Gianni ansima nel cuscino, continuando a rimanere perfettamente immobile. Per quanto io mi immedesimi nel suo delirio, non riesco ad imitarlo: emetto solo una specie di mugolio che suona interrogativo, della serie "che cazzo stiamo facendo?". - Oh Dio cucciolo, è stupendo - ansima lui - Ti sto scopando così forte che il letto traballa, lo senti? - Sì Gianni, lo sento. - Le molle cigolano, le doghe stanno scricchiolando, i vicini sentono tutto e capiranno cosa stiamo facendo… - Sì, lo capiranno e poi non ci saluteranno più per le scale. - Ma chissenefrega, è troppo bello… Ti piace, amore? - Moltissimo. Fisso il soffitto sopra di me e mi chiedo seriamente cosa stia succedendo al cervello di Gianni. Se non lo amassi scapperei a gambe levate, perché sta dando evidenti segni di squilibrio mentale. Invece amo questo pazzo: perciò resto qui e gli accarezzo i capelli mentre lui continua a non fare assolutamente niente, convinto di stare facendo chissà cosa. Però qualcosa in effetti sta succedendo, fisicamente, a lui: all'improvviso lo sento gemere. Si rialza di colpo con un ringhio e mi fissa con odio: - Cosa mi hai fatto? Allibito, balbetto: - Niente, Gianni, perché? - Non doveva succedere - sibila con ferocia - Era proibito dai nostri patti. Non doveva succedere a me. - Ma scusa, - obietto - io cosa ne posso? Mi molla un violento ceffone. - Hai trasgredito i patti. Vattene. Si alza di colpo e corre in bagno. Sulla soglia si volta: - Scusa, stavo dimenticando le regole della buona educazione: vattene, per favore. Sparisce in bagno. Questo è troppo. Mi alzo dal letto, mi sistemo i vestiti spiegazzati, prendo la mia sacca da viaggio e mi avvio verso la porta. Ho intenzione di andarmene senza nemmeno salutarlo: Gianni non può abusare della mia pazienza fino a questo punto. Tornerò a casa e penserò con calma al da farsi: gli voglio bene, ma devo mettere dei paletti ben precisi a questo rapporto. Sono già sul pianerottolo del secondo piano quando Gianni, rivestito ma ancora con la camicia aperta, mi raggiunge trafelato. - Ma cosa fai? - ansima. - Me ne vado - gli rispondo con tono calmo e dignitoso. - Ma dove? - A casa. Mi afferra per una spalla. - Ma sei pazzo? Te ne vai senza nemmeno salutarmi? Mi volto a guardarlo con mite rimprovero. - Gianni - gli dico semplicemente. Non aggiungo altro e mi volto per scendere le scale. - Cucciolo, - ansima lui con voce angosciata - scusami, ti prego. Torna indietro. Mi fermo senza voltarmi. - Sei scusato, ma no, non torno indietro. Mi avvinghia disperatamente alle spalle. - Ti prego. Ti prego ti prego ti prego. Mi volto a fargli una carezza sulla guancia, dove è comparsa la solita ruga di quando lui è in questo stato d'animo autodistruttivo. Provo una profonda pena. - Gianni, - gli dico - così non va. Non può funzionare, capisci? Fa segno di sì con la testa. - Io ho un grande rispetto per te, ma anche tu mi devi rispetto. - Sì, amore mio, hai ragione. - Ora vado a casa, perché ho bisogno di stare tranquillo per un po'. Ci sentiamo in un altro momento. Gli appoggio un bacio sulla guancia e ricomincio a scendere le scale. - Emmanuel! - grida lui all'improvviso nella tromba delle scale. Mi volto all'insù con un sorriso. - I vicini, Gianni. Esco dal caseggiato e mi avvio verso il mio Suzuki: ci salgo e metto in moto. Nonostante tutto mi sento tranquillo: so di avere fatto la cosa giusta. Gianni aveva bisogno di una lezione. Quasi subito, ben prima che io arrivi all'imbocco dell'autostrada, il mio cellulare squilla. - Che c'è? La sua voce è rotta dall'angoscia. - Cucciolo, perdonami. - Ti ho già perdonato. - Mi stai lasciando, vero? - No, Gianni, non ti sto lasciando. - Non ci credo. Te ne stai andando per sempre, lo so: stai mentendo solo per tenermi tranquillo, ma non vorrai più rivedermi. - No, Gianni, non ti sto mentendo. E adesso riattacco, perché c'è una pattuglia di carabinieri e non sono in vivavoce. Ci sentiamo. - Ci sentiamo quando? - Presto. Riattacco. Per tutto il tragitto Gianni non fa altro che tentare di richiamarmi. Per un po' lascio squillare il cellulare, poi lo metto in vivavoce e rispondo. Gianni è in uno stato così confusionale che non riesce ad articolare un discorso di senso compiuto: gli esce solo una serie di nomi, pronomi e avverbi senza predicato verbale. - Amore… io… perdono… quando? - Gianni, - gli dico - dovresti imparare a fidarti di me: se ti ho detto che non ti sto lasciando è perché non ti sto lasciando. Perciò tornerò a Milano. - Quando?? È quasi un grido di disperazione il suo. - Dopodomani - rispondo, dopo averci pensato un po' su. - Me lo giuri? - Non c'è bisogno di giurare quando uno dice la verità, ma comunque te lo giuro. Ansima per qualche secondo, poi aggiunge: - Basta botte per un po', eh? - Sì, basta botte. Ora rilassati, Gianni, prendi una camomilla e fatti un bel riposino. Ci vediamo dopodomani. - Ti amo, cucciolo. - Ti amo anch'io. - Lo dici solo per consolarmi. - No, Gianni, purtroppo non lo dico solo per consolarti. - Purtroppo? - Buona notte, Gianni. Mi concentro sulla guida: non voglio più pensare a niente per almeno un paio d'ore. Questa sera dormirò da Mayra, che certamente non mi rifiuterà il suo lettino nella camera degli ospiti: dormirò con Bella accucciata ai miei piedi. Ho bisogno di quiete e di normalità. È difficile amare un pazzo bipolare: davvero difficile. Se solo si potesse scegliere chi amare…