Io no, non avevo paura. Ero un albatros gareggiavo con i gabbiani, spalancavo le ali erano ali bianche le mie, grandi, possenti precipitavo in caduta libera mi lanciavo in picchiata e poi abilmente cabravo e m’impennavo verso il sole scendevo a sfiorare le cime degli alberi sentivo il solletico delle foglie sulla pancia la carezza dell’aria sul corpo mi tuffavo nelle stelle, respiravo la luce respiravo la notte sentivo il vento fuori il vento dentro. Prologo San Quirico d'Orcia, 13 giugno 1997 Gentile Signora Kellermann, E così hai vinto tu. È passato un anno da quando me ne sono andato ed è successo esattamente quello che avevi previsto: tu sei diventata una rispettabile signora dell'alta borghesia ed io sto guarendo a poco a poco. Devo questa mia guarigione (o forse dovrei dire convalescenza) alle cure di una dolce infermiera che mi tiene prigioniero in un castello incantato, e nelle fiabe il lieto fine è d'obbligo: è appunto per comunicartelo che ti scrivo. Arianna e i suoi sono persone splendide. Stiamo preparando l'esame (ti farà piacere sapere anche questo) nel giardino della loro casa di campagna, completamente circondato da un'alta siepe che lo isola dalla strada, ed è da qui che ti sto scrivendo. Al di là della siepe si intravede solo la collina spoglia e una macchia scura di cipressi. Abbiamo sistemato un tavolo e due sedie sotto un ombrellone. La mattina facciamo colazione con tè, fette biscottate e marmellata; poi ci mettiamo a studiare. Ogni tanto ci riposiamo: io assorbo i raggi del sole sdraiato sull'erba, in un torpore assoluto, e mi ricarico. La sera andiamo in giro per qualche borgo medievale. C’è solo un posto dove non ritornerò mai più, non sto a dirti quale. Tutto perfetto insomma: la viltà cui mi hai costretto è piacevole, ci sto sprofondando senza scampo, come nelle sabbie mobili. Ho perso la scommessa: ricordo che c'era una posta in palio e, non dubitarne, salderò il mio debito appena possibile. Inutile sondare il fondo dell’indecifrabile tristezza che incrina tutte le mie gioie: manca un significato in queste ore di luce radente e di ombre lunghe, manca il sogno, manca il senso, ma mi dicono che non è importante. Giugno, come sai, è il mio mese preferito, un mese pieno e caldo, gonfio di succhi vitali. Il significato di questo mese si riassume per me nell'odore dei gelsomini in piena fioritura, un odore che stordisce, è come una promessa. Peccato che sia poi soppiantato dall'inutile luglio, dall'ebete e chiassoso agosto. Ora che l'attesa dell'adolescenza è finita, mi accorgo di avere atteso qualcosa di infinitamente più vuoto dell'attesa. Mi dirai che fa tanto sabato del villaggio, ma sai come la penso: sapere le cose in anticipo non serve, conta solo quello che si scopre personalmente. E io lo scopro adesso. Vivere serve soltanto a vivere, non c'è altro; ciò che ancora non riesco a capire è come si possa prendere sul serio la commedia. Non m'ingannavo, signora: il mondo degli adulti è necrofilo, ama la macabra cosmesi del cadavere, ci vuole morti ma presentabili. Siamo già nel museo delle cere. Che dirti, anima mia? Se tu hai dimenticato chi sei, io non posso ancora dimenticare chi sono. Dopo di te non più ho avuto nessun credo immanente: riesco a sopravvivere solo con volgari trucchi da prestigiatore. Sono proprio le persone che ci sono più vicine a poterci capire di meno: quando ridono dei voli di gallina che tentiamo, quando "per il nostro bene" ci sbarrano l'accesso al sogno, dovremmo essere abbastanza coraggiosi da rinunciare a loro per restare fedeli ai nostri sogni. Ma è difficile. Io non ho più questo coraggio: l'ho avuto una volta, come forse ricorderai, e, se mi passi la metafora, non ho ancora finito di raccogliere i miei cocci dalla tazza del cesso. Ho scelto di non scegliere; mi lascio vivere accanto alle persone che mi amano e le tengo a bada, lontane dalla sfera dell'intimo. Ci sono verità di una così disperante delicatezza che fa male confessarle perfino a se stessi, senza bisogno dell'ottusa derisione degli altri, o peggio della loro compassione. E ci sono sentimenti che non si possono esprimere con le parole: non resta che il grido inarticolato, o il silenzio. Tuo per sempre Emmanuel P.S.: Ti vorrei qui, fra le mie braccia, per farti vedere come ti sto dimenticando.