Non si può amare un idiota (novembre 1997) - Permesso? Entra in casa seguito dal suo cane. È come veder entrare un raggio di sole. Gino corre subito a strusciarsi contro le sue gambe. Dà un bacio sulla guancia a Martino, che sta giocando con i suoi pupazzi sul suo seggiolone, e uno sulla fronte a me, che sto stirando le lenzuola. Ha il viso arrossato, i capelli sudati trattenuti da un elastico, la maglietta bianca sporca di polvere di mattone, le maniche corte arrotolate fin sopra le spalle, i jeans e le scarpe da ginnastica imbrattati di schizzi di cemento. Ed è, come sempre, bellissimo. - Come sono andati i tuoi primi giorni come aiuto-muratore? - Non male. Carlos mi ha assegnato lavori abbastanza leggeri, per via della spalla che non è ancora in forma. Gli passo i mattoni, impasto la malta, spalmo l'intonaco... cose così. Lavoriamo in collina a un muraglione di cemento armato dalle parti di Cinzano. - Così lontano? Addirittura nel Cuneese? - No, non quel Cinzano: quello in provincia di Torino. - Ah sì, ho presente. - Non dovrebbero permettere di deturpare il fianco di quella collina con costruzioni così orribili. Per il resto va tutto bene, mi hanno assunto con un contratto temporaneo e intanto mi dò da fare per mettere in piedi la mia prima serra. E poi guarda che bicipiti mi stanno venendo, meglio che andare in palestra. - Magnifici. Credo che raramente si sia visto un muratore così carino. Sorride. - Quando andiamo al bar per farci una birra, io e Carlos, le ragazze ci fischiano dietro. - Normale, direi. E l'università? - Mi iscriverò, ma adesso non ho il tempo di pensarci. Ho bisogno di mettere da parte un po' di soldi per restituire il prestito a papà e a Michele: sai, mettere in piedi un’attività come il mio vivaio costa un sacco di soldi. E poi mi piace lavorare con Carlos: con lui sto bene, ed è bello lavorare all'aria aperta. Sospiro rassegnata, ma la sua felicità è così evidente che metto da parte ogni rimostranza. - I miei non sono molto contenti che io faccia il muratore, - riprende - ma non vivo più con loro e non possono impedirmelo. Del resto, lo sanno che è solo una cosa temporanea. Comunque vado a trovarli quasi tutti i giorni e sono felici di vedermi. - La casa è pronta? - Sono ancora un po’ accampato, ma per dormirci va più che bene. È una piccola dépendance di mattoni vecchi, quelli di una volta, bellissimi, tutti di colori leggermente diversi, con un rampicante davanti, un glicine. Me l'ha trovata Carlos. Mi ha presentato il titolare dell'agenzia immobiliare che trattava la casetta e abbiamo fatto subito amicizia; è un tipo incredibile, un vulcano di iniziative, ma molto all’antica: sai, di quelli che non sopportano i computer e le diavolerie tecnologiche, come le chiama lui. - Sì, ho presente il tipo: anche mia madre è così. - La casa ha solo due stanze e un bagno, ma è perfetta per me. Non è lontana da qui, appena una decina di chilometri. Era del custode di una villa, ma i figli dei proprietari hanno venduto quel terreno per pagare le imposte di successione, e così adesso è in affitto. Bruno, il titolare dell’agenzia, mi aveva proposto di comprarla facendo un mutuo, ma è prematuro. C'è anche un pezzetto di giardino per Bella: Mayra se ne sta occupando e in poco tempo lo ha già trasformato. Peccato che quasi tutti gli alberi siano ormai senza foglie, ma già così è diventato bellissimo. Ha appeso vasi di fiori a dei ganci sui mattoni del muro: praticamente ho tutta la parete d’ingresso fiorita. È riuscita a trovare delle varietà di piante che fioriscono anche in pieno autunno. - Sono contenta per te. - Bruno mi ha proposto di dare una mano all'agenzia, sai? Dovrei portare i clienti in giro a vedere le case, anche se non ho il patentino, ma lui è un tipo molto pratico e se ne frega. Naturalmente lo farei a tempo perso. Posso mangiare questa mela? Senza attendere la mia risposta prende una mela dal portafrutta sul tavolo, la strofina contro i jeans e la addenta con appetito. Continua a parlare masticandola: - Credo che sia un lavoro divertente: mi interessano molto le case. - Sì, come lavoro non è male, però credo che dovresti puntare più in alto. - È un lavoro transitorio, non è che ho intenzione di continuare così per sempre. Io punto a mettere su un vivaio, lo sai; non è detto che abbia successo, ma ho un asso nella manica: Mayra. Tutto quello che tocca quella donna diventa bellissimo. Sospiro. - Io pensavo a una laurea, Emmanuel. - Ma sì, te l’ho detto, la prenderò: ma non avrà niente a che fare con il mio lavoro. Voglio studiare per passione, non per dovere. Studiare mi piace, lo sai: è una passione che mi hai trasmesso tu. - D’accordo, vada per la passione. Del resto non ti avrei proprio visto come avvocato o commercialista o qualcosa del genere. - Infatti. - Vuoi sdraiarti un po'? Devi essere stanco. - Sono tutto impolverato, non vedi? Prima avrei bisogno di fare una doccia. Mi sono portato dei vestiti di ricambio per non sporcarti il divano, vado a mettermeli. Mi mostra una busta di nylon con alcuni indumenti puliti. - Togliti i jeans e la maglietta, li metto in lavatrice. Va' a farti la doccia. Apre la porta a Bella, impaziente di uscire in giardino con il gatto. - È davvero strano, - commenta - Bella non sopporta i gatti. Ma Gino le piace. Si spoglia rimanendo in mutande e mi porge i vestiti sporchi. - Grazie. Stampa un bacio impolverato in fronte a Martino, che reagisce con un piccolo grido indispettito pulendosi il viso con una mano, e va in bagno. Mentre fa la doccia io dò la merenda al bambino e poi lo metto nel suo lettino a riposare. Emmanuel esce dal bagno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e i capelli gocciolanti. - Vieni qui, ti asciugo un po' i capelli - gli dico sedendomi sul letto. Viene a sedersi a sua volta. Gli strofino i capelli con un asciugamano di spugna; mi guarda con quel suo lieve strabismo negli occhi blu ed io lo vedo all'improvviso per quello che è: un giovane, bellissimo dio seduto sul mio letto. - Stenditi, - gli dico - devi riposarti. - Okay - risponde. Si distende sul letto accanto a me. Non dà il minimo segno di voler approfittare della situazione: chiude gli occhi e rimane a godersi beatamente la penombra della stanza. Accarezzo la cicatrice sulla sua spalla. - È brutta, eh? - Tutt'altro, è sexy. Le cose troppo perfette non sono mai veramente belle. Sorride senza rispondere. Sfioro la cicatrice con un bacio. Lo sento irrigidirsi, le sue mani si serrano istintivamente sul bordo dell'asciugamano annodato in vita. Il mio respiro sulla pelle lo fa vibrare come una corda di violino. Scendo con le labbra fino al bordo dell'asciugamano e forzo dolcemente le sue mani per aprirlo. Ha il batticuore, sento sobbalzare il suo ventre. - No, Antonia. Allenta la presa, l'asciugamano si apre, le sue mani ricadono di lato, inerti. Rimane immobile, quasi trattenendo il respiro. Stranamente non è eccitato: è intimidito come se fosse la prima volta, come se fosse sotto esame. - Sai di borotalco - sussurro. Dio, quanto mi è mancato il mio ragazzo. Alla fine ha un lunghissimo fremito e inarca la schiena afferrando la sponda del letto con la mano destra. Ricade sul letto ansimando. - Cazzo, Antonia. - Che c'è? - Niente. Ogni tanto mi dimentico com'era con te. - Perché dici era? Non risponde. Rimane sdraiato supino con un braccio dietro la nuca. Appoggio la testa sul suo petto, accarezzando i suoi capelli. Il suo respiro ora è regolare, ma il battito del suo cuore è ancora un po' accelerato. Rimugina in silenzio per un paio di minuti; infine, con un tono di voce pacato ma serio, mi chiede: - Perché l’hai fatto? Invece di rispondere gli rivolgo a mia volta una domanda: - Non ti è piaciuto? - Fisicamente sì: non si è visto? - E allora che problema c’è? Si appoggia su un gomito e mi guarda dall'alto. - Antonia, il problema c’è ed è enorme: tu non mi ami più. Me lo hai fatto capire fin troppo chiaramente. C'era così tanto disprezzo nelle tue parole quando mi hai detto che non mi vuoi come padre di Martino, che non ho avuto dubbi in proposito. Tu non potrai mai più amarmi. - Emmanuel, io… - Non devi giustificarti: non si può amare un idiota. - Tu non sei un idiota. - Oh sì che lo sono. Per un po’ ne ho sofferto molto, ma poi me ne sono fatto una ragione e adesso mi sento perfettamente sereno. Non ho il diritto di essere infelice: ho tutto quello di cui ho bisogno. Non parlo solo della mia famiglia e dei miei amici, ma anche di noi due, Antonia: siamo qui, siamo vivi e in salute, ci vogliamo bene nonostante tutto. Tu mi permetti di vedere te e Martino tre volte alla settimana. Quindi va bene così, non ho bisogno d’altro. Fa una breve pausa e poi riprende con durezza: - Però il sesso no, Antonia. - Perché? Perché non sei l'unico? - Non sono mai stato l'unico, non è questo il punto. Tu sei stata qualcosa di importante per me, davvero importante: ora è finita, lo so e lo accetto, ma vedi, Antonia, non puoi pretendere di usare una persona che disprezzi per farci sesso. O meglio, puoi, ma non con me: questo non lo accetto. Mi devi un minimo di rispetto, non puoi degradarmi fino a questo punto. Il fatto che mi trovi, diciamo così, appetitoso, non ti dà il diritto di approfittarne. Vedendomi in imbarazzo, sorride e riprende con tono addolcito: - È stato molto bello, sul serio, mi hai mandato in orbita. Ma per favore, non farlo più. - Va bene, ho capito. Esita un attimo, poi mi fa un'altra domanda: - Piuttosto… Mi avevi detto che potevo fermarmi a dormire da te un paio di volte alla settimana. Sei sempre d'accordo? - Certo. - A me farebbe piacere, però solo se non dormiamo nello stesso letto. Lo vedi che non sono ancora abbastanza forte, l’ho appena dimostrato. Mi piace molto il tuo letto, con queste lenzuola bianche di cotone un po' ruvido profumate di lavanda: sarebbe bellissimo dormire qui con te, ma non posso permettermelo. - Ho un divano letto matrimoniale in salotto: è molto comodo, potresti dormire lì. - Perfetto, affare fatto. All’improvviso si rabbuia. - Ti serve per gli ospiti? Cioè, voglio dire… Non voglio costringerti a cambiare spesso le lenzuola. - Non preoccuparti, non ci dorme mai nessuno: sarà tutto per te. Te lo preparo subito. - Mi metti le stesse lenzuola che ci sono qui? Per favore. Non posso fare a meno di constatare con stupore con quanta forza si aggrappi a questi dettagli insignificanti: le lenzuola di cotone che sanno di lavanda, i mattoni vecchi del suo appartamento, il rampicante che cresce davanti alla sua casa, i vasi di fiori appesi da Mayra; al contrario, le esperienze più intense della vita, che in passato ha sempre cercato avidamente, lo terrorizzano: rifiuta il sesso, rifiuta l'amore, o meglio, lo sbriciola in tanti piccoli pezzettini che proietta su tutte le cose e le creature che gli sono care. Queste piccole cose simboleggiano per lui il ritorno alla vita, sono il tramite attraverso cui manifesta il suo amore, che non riesce più ad esprimere in modo adulto e normale. È tornato ai tempi in cui, seduto sulla riva del torrente, guardava in trasparenza un sasso bianco e lo trovava bellissimo. Non riesco a capire se si tratti di un sintomo di miglioramento o piuttosto di regresso ad uno stadio infantile. Per ora l'essenziale è che si senta di nuovo bene, perciò lo assecondo: - Ne ho un paio di ricambio, le stavo appunto stirando. - Davvero? Fantastico. - Tu intanto rivestiti. Mi fa una carezza sulla guancia, si alza dal letto coprendosi pudicamente i fianchi con l'asciugamano e va in bagno a lavarsi e rivestirsi. Mi alzo a mia volta, sentendomi un’idiota, e vado a preparargli il divano letto con le lenzuola di cotone bianco un po' ruvido profumate di lavanda che gli piacciono tanto. Lo vedo uscire dal bagno in jeans e maglietta, con i capelli ancora umidi; va in giardino e chiama Bella, che corre in camera scodinzolando e si accuccia ai piedi del letto; poi entra nella cameretta di Martino, lo prende in braccio, lo porta sul mio letto e si sdraia accanto a lui. - Ti faccio una spremuta - gli dico dalla cucina - e intanto preparo la pappa per Martino. - Grazie - risponde distrattamente, voltandomi le spalle. Dalla cucina sento il bambino gorgheggiare mentre Emmanuel gli fa il solletico sulla pancia e giocherella con lui. Ripete ba-ba-ba, Emmanuel gli fa eco: - Sì certo, bla-bla-bla. Ad un certo punto Martino cambia consonante e dice pa-pa-pa. - Ha detto papà - esclama Emmanuel. - No, - lo correggo sorridendo - ha detto pappa. Fra poco arriva. Quando entro in camera li trovo tutti addormentati: Martino è disteso supino con il pollice in bocca, Emmanuel, raggomitolato in posizione fetale, lo avvolge con le braccia e le ginocchia in una specie di nido, Gino dorme arrotolato nell'incavo delle ginocchia di Emmanuel, Bella, accucciata sullo scendiletto, dorme a sua volta russando un po', come è tipico dei cani anziani. Lo guardo e penso fra me e me che il sonno gli è diventato necessario come l'aria che respira, è la sua medicina naturale. Quando sta male si arrotola su se stesso come un ghiro e si addormenta. Il suo è il sonno tranquillo e profondo di un bambino: dormendo ritrova quella quiete interiore che il suo animo, scosso e provato dalle esperienze in cui si è buttato a capofitto con incoscienza, aveva perso. Ritorno al mio dubbio di prima e trovo la risposta: purtroppo il mio povero ragazzo ha subìto una serie di traumi che lo hanno fatto regredire all'infanzia; più che un padre è come un fratello per Martino, poco più che un suo coetaneo. Provo pena e tenerezza per lui, mi rendo conto con una fitta al cuore che anch'io ho contribuito a questo risultato e che ho perso il mio meraviglioso amante: il suo rapporto con il sesso è destinato ad essere molto problematico per il futuro, la splendida illusione di cui lo aveva ammantato è perduta per sempre. Ha lacerato il velo di Maya. Ma non riesco ad essere triste: la scena che si presenta davanti ai miei occhi è bellissima, profondamente commovente. Il sonno è la cura migliore e la più innocua: li lascio dormire, mangeranno più tardi. Sfioro i capelli di Emmanuel con un bacio, poso il vassoio sul comodino ed esco in punta di piedi.