I bambini del Paradiso. Mi aggiro per le strade luminose e pulite di un paese che non conosco: l'aria è tiepida e trasparente, un altoparlante invisibile diffonde le note di Diamond Day di Vashti Bunyan. Raggiungo la strada di campagna dove sorge la casetta di legno in cui da poco ci siamo trasferiti. Mi è piaciuta al primo sguardo: è semplice, solida e molto confortevole. Devo predisporre tutto quello che serve per il centro estivo: mi è stato consegnato un plico contenente i moduli da compilare. Mi appoggio ad un muretto di mattoni ed apro la busta: contiene le liberatorie di cui devo fare le fotocopie e il misterioso modulo J24. Sconsolato, mi rendo conto che si tratta di un lunghissimo papiro di quelli con i forellini da entrambi i lati, di almeno dieci pagine, con tante piccole caselle da riempire. Lo ripiego e lo metto via, intenzionato a pensarci più tardi. Mi rimetto in cammino attraverso le vie del paese: è una bella giornata, soleggiata e mite. Ad un tratto mi attraversa la strada il mio cane: corre felice con le orecchie al vento. È diventato più lungo e più magro, è giallo e luccica al sole; mi chino a fargli una carezza: mi rimangono attaccate al palmo della mano alcune schegge d'oro. Le ripongo in tasca e proseguo il mio cammino. Telefono ad Arabella chiedendole se sia proprio indispensabile compilare il modulo J24 e lei mi risponde di sì, perché senza non sarebbe possibile far entrare i bambini in un locale chiuso in caso di pioggia; obietto che c'è un porticato e che potrebbero ripararsi lì sotto, ma lei mi risponde che starebbero troppo stretti. Riattacco e mi rassegno. Intanto camminando sono arrivato sulla riva di un mare strano e stupendo: una specie di piscina naturale circondata da rocce candide perfettamente lisce, con un'acqua così incredibilmente trasparente da non essere neppure azzurra. Il richiamo di quel luogo è irresistibile: mi spoglio immediatamente e mi tuffo. La sensazione è meravigliosa, indescrivibile la gioia del contatto con quell'acqua pura e fresca. Nuoto verso un gruppo di persone che stanno facendo il bagno in fondo alla baia. Raggiungo due signore, madre e figlia, che si trovano in un punto dove si tocca e l'acqua arriva solo alla vita. La signora più anziana mi spiega sorridendo che non può nuotare perché il reggiseno del costume, inzuppandosi, tende ad aprirsi in avanti. La ringrazio della spiegazione e proseguo la nuotata, fino ad arrivare ad un isolotto su cui sorge uno stupendo melo dalle fronde ricchissime di un luminoso verde chiaro. I rami dell'albero si incurvano fino a toccare l'acqua: nuoto con la perfetta letizia di un pesce sotto la cupola delle foglie che mi sfiorano il viso e mi accorgo che il melo è carico di frutti a portata di mano: non solo grosse mele verdi e rosse, ma anche ciliegie bianche, appena venate di rosa. Non resisto alla tentazione e assaggio una ciliegia: è dolcissima, ha il sapore delle more del gelso. Stacco da un ramo anche una mela ed inizio a sgranocchiarla mentre continuo a nuotare. Ad un tratto il cellulare, che porto in tasca nonostante io sia completamente nudo, inizia a squillare: è Arabella che mi chiede dove io sia finito. Le rispondo che sto nuotando al mare in un posto bellissimo; lei obietta che è novembre inoltrato, io le rispondo che sto bene ed è tutto perfetto, promettendole che arriverò in orario. Mi fa presente che non si parla con la bocca piena: rinuncio a finire la mia mela e mi pongo in ascolto. Mi dice che nel frattempo è arrivato Tieste e mi chiede se debba fargli firmare la presenza. Le rispondo di sì e riattacco. Rimetto in tasca il cellulare e la mezza mela. Esco a malincuore dall'acqua, mi rivesto e mi avvio lungo la sponda erbosa. Mentre mi inoltro in un boschetto vedo camminare sotto gli alberi una bambina molto piccola, poco più grande di una bambola, con i capelli lunghi rosso scuro e un grembiulino di flanella a quadri. Mi viene incontro, estrae qualcosa dalla tasca e me lo porge dicendo: "Ho l'altra metà della tua mela". Confronto le due metà ed effettivamente combaciano. La bimba riprende il suo cammino senza attendere il mio ringraziamento. All'improvviso scompare inghiottita dall'erba e chiede aiuto: mi affretto a raggiungerla e mi accorgo che è caduta dentro un cestino della carta straccia arancione irrazionalmente collocato nell'erba, così alta da nasconderlo completamente. La tiro fuori e lei ricomincia a camminare, ma quasi subito sprofonda in un buco nell'erba, dove si nasconde un altro insidioso cestino giallo. La afferro per un braccio e la tiro nuovamente fuori, dicendole di stare più attenta. La bimba prosegue il suo cammino e all'improvviso scompare con un urlo all'interno di un tubo sotterraneo. Intuisco che è finita nello scarico di una piscina. Sento il lamento della bambina provenire dall'interno di un locale chiuso, che probabilmente è quello destinato all'impianto di depurazione, saturo di letali vapori di cloro. Mi rendo conto con rassegnazione di non poter fare più nulla per lei. Mi sveglio. A parte il finale, è stato un sogno meraviglioso: è triste e avvilente tornare alla realtà. Mi chiedo che cosa io abbia sognato, che luogo fosse mai quello. Poi comprendo che la risposta è facile: ho sognato il Paradiso.