Ho preso una decisione irrevocabile: non voglio più farmi. Ma non sono pronto: volente o nolente, ho ancora bisogno di Michelle, anche se ormai la frequento soprattutto per vedere Carlos. Potrei telefonargli e vederlo senza di lei, ma non mi va di dare ufficialità al nostro rapporto. E così continuiamo a vederci da lei, anche se di sera usciamo insieme da soli. Oggi lei ci ha colti in flagrante. Carlos non se n'è accorto, ma io sì; spero che Gerti abbia capito il concetto: è lei adesso l'esclusa, sono io il più forte. Non ha tradito la minima emozione; si è allontanata senza fare commenti. Più tardi, mettendoci alla porta, ci ha guardati con ironia: - Vedo che avete fraternizzato. - Cosa voleva dire? - mi ha chiesto Carlos mentre scendevamo le scale. Mi sono buttato il giubbotto in spalla: - Chissenefrega, andiamo a farci una birra. Dopo il pub saliamo in macchina insieme e lui si dirige verso qualche luogo appartato in collina, come al solito. Sento un prurito fastidioso ad una gamba. - Ci sono le zanzare. - Che zanzare? Fa ancora troppo freddo per le zanzare. - Ti dico di sì: mi hanno punto una gamba. - Non grattarti, ti rimane il segno. Vuoi che ti metta su un cd? Uno dei tuoi, quello che piace a te. - Sì, grazie. Dopo pochi minuti fermo lo stereo. - Scusa, non ho voglia di ascoltare musica. - Ma è uno dei tuoi dischi preferiti. - Sì, lo so. Proprio per questo. - Come vuoi: riposati un po' allora. Cerco di rilassarmi, ma non ci riesco. - Ti senti bene? - Tranquillo, è tutto okay. Però ho i brividi e batto i denti. - Puoi accendere il riscaldamento, per favore? - Certo. Ma cos'hai? - Nausea, male alle ossa. Niente di che, non preoccuparti. Ferma la macchina in una piazzuola di sosta, lasciando il motore e il riscaldamento accesi, e mi tocca la fronte: una ruga si incide fra le sue sopracciglia. - Sei un po' caldo, principe. Vediamo se ti passa, sennò devi andare dal dottore. Ora vieni qui. Mi prende in braccio come un bambino piccolo e mi tiene così per un po', cullandomi leggermente. All'improvviso, senza rendersene conto, pronuncia la parola kré-tcheu, amore. Il suono di quelle sillabe colpisce le mie orecchie come un grottesco paradosso. Lo guardo come se lo vedessi per la prima volta e mi scosto bruscamente da lui, tornando a sedermi al mio posto. - Portami a casa, per favore. Non risponde: mi fissa con l'espressione di uno che sta per ascoltare la sua condanna a morte. - Sul serio, ti prego: ho un tremendo mal di testa. Ingrana la marcia e riparte senza pronunciare una parola. Mi porta davanti al cancello di casa mia: io non mi decido a scendere, lui tace. - Senti Carlos, - gli dico finalmente - non fraintendermi: non è che non voglio più vederti. - Okay. - È che forse per un certo periodo... - Okay. - Lo sai che ti sono molto affezionato, ma voglio stare un po' da solo. - Ho capito. - Ho bisogno di una pausa di riflessione. Una pausa di riflessione: che cazzo sto dicendo? - Okay, okay: tranquillo, ho capito. - In ogni caso ci rivedremo per forza da Michelle, no? - Va bene, nessun problema, principe. Ora riguardati, pensa solo alla tua salute. Scendo dalla macchina e lo saluto con una specie di sorriso. Mentre cammino sulla ghiaia del viale una coltellata mi trafigge lo stomaco. Mi piego in due per il dolore. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e di colpo comprendo: game over.