Molto sexy In cui il nostro eroe scopre che avrebbe un futuro dove meno se l'aspetta. Non so da che parte incominciare per descrivere Carlos. Anche retrospettivamente sono poco obiettivo, non riesco a liberarmi di una serie di inibizioni, forse gelosie sotterranee, forse rimpianti inconfessabili, non lo so. Proverò intanto a descrivere il suo aspetto fisico, come se lo avessi ancora davanti. Carlos ha trentadue anni ed è un capoverdiano tipico. È molto alto, forse troppo alto, più di un metro e novanta; su quelle ossa lunghe si innesta una muscolatura possente ma naturale, non frutto di palestra, così soda che sembra scolpita nel legno; le sue spalle sono larghe, forse troppo larghe, squadrate; squadrato è pure il suo viso, con la mascella volitiva, una fossetta in mezzo al mento, gli zigomi pronunciati, il naso leggermente schiacciato ma sottile, gli occhi allungati con le iridi di un colore mai visto, tra il bronzo e l'oro; le sopracciglia diritte, marcate, gli danno un'aria perennemente imbronciata; i capelli foltissimi di un castano scuro, attorcigliati in riccioli stretti e allungati, tipo rasta per intenderci, formano sulla sua testa una specie di copricapo irsuto e gli danno un aspetto a metà tra un riccio di mare e un pastore bergamasco. Porta due orecchini al lobo dell'orecchio sinistro e una collana di perline bianche al collo, che contrasta singolarmente con il suo aspetto decisamente virile. Veste in modo casual, magliette non troppo aderenti, jeans strategicamente sdruciti e scarpe da ginnastica. Il tutto rigorosamente non di marca. Del resto sembra sempre elegante qualsiasi cosa si metta addosso: è una dote naturale. Ha un'andatura particolare, flessuosa e rilassata come quella di un grande felino; l'aggettivo esatto è regale: e in effetti un giorno mi ha detto in gran confidenza di essere una specie di principe nella piccola isola vulcanica dalla quale proviene, Brava. Dimenticavo: ha la pelle scura. Non scurissima, diciamo tipo caffellatte. Credo che nel complesso sia quello che le donne dalle mie parti definiscono un gran figo. Nel caso specifico di Michelle, so per certo che non è il suo aspetto fisico ad averla attratta particolarmente, bensì le dimensioni del suo pene, per lei più appetibili di quelle di un normodotato come il sottoscritto. Sarà per questo che non riesco ancora ad avere un atteggiamento equanime nei suoi confronti, neppure a distanza di tempo. Eppure è solido e simpatico, cameratesco e sincero. Molte cose mi piacciono di lui, compreso il suo accento esotico. Parla l'italiano in modo semplice ma corretto, anche perché è da parecchio tempo che si è trasferito in Italia, ma ha conservato la caratteristica inflessione un po' lamentosa del portoghese, sebbene la sua lingua nativa sia l'incomprensibile creolo capoverdiano. Fa lo scaricatore di cassette ai mercati generali, cosa che contribuisce a mantenerlo in forma; il suo cruccio segreto, come mi ha detto in tutta sincerità, è la tentazione di cedere alle proposte di ingaggio come spogliarellista, che riceve continuamente dai locali notturni per signore single di Torino. È troppo orgoglioso per accettare, ma sono sicuro che finirà per farlo, perché le prospettive di guadagno come scaricatore sono troppo misere. Non credo che Michelle lo paghi, ma non ne sono sicuro e non voglio saperlo. Penso che lui la frequenti perché ne è affascinato, sia pure molto superficialmente, non essendo in grado di cogliere il retroterra maudit del personaggio. In Italia lo ha seguito sua sorella Mayra, più vecchia di lui di un paio d'anni, alla quale è molto legato. Carlos non ne parla quasi mai, ma da quel poco che mi ha detto ho capito che esiste fra di loro un affetto profondo. Con me si comporta come un subalterno. Svolge le sue mansioni di bassa manovalanza con un impegno metodico ed è abbastanza giudizioso da non strafare. Alla fine mi chiede "Come sono andato?", io gli assicuro che è andato benissimo e lui fa il modesto, dice che il merito è tutto mio perché la parte più difficile sono i preliminari. Strana collaborazione la nostra, all'insegna della reciproca cavalleria. All'inizio lo ignoravo ostentatamente, tenendo le distanze per quanto possibile. Un pomeriggio però, mentre Gerti faceva la doccia e noi stavamo rivestendoci nel nostro spogliatoio (lei ovviamente ne ha uno tutto per sé), lui ha deciso di rompere il ghiaccio: - Sai, non sembra, ma non è mica facile per me: con le mie dimensioni ci si stanca presto. - Eh già, - ho risposto freddamente, infilandomi i jeans - non foss'altro per la forza di gravità. Non ha colto l'ironia. - Ma la cosa peggiore è depilarmi il petto: lei non sopporta i maschi pelosi. L'ho guardato di sbieco. - L'effetto però non è male. - Il problema è che non posso usare il rasoio, lei non vuole, dice che il pelo che ricresce la buca. Me li fa strappare con quella porcheria che usano le donne. - Cazzo. - Vedo che capisci. Che poi, se la natura ci ha fatti pelosi, un motivo ci sarà. Si è sistemato la camicia nei pantaloni con gesti pesanti. - Sei intelligente tu, e pure bello. Sembri un principe. - Grazie. Ha abbottonato la camicia sul suo torace enorme. - Io sono religioso, sai. Lei per esempio mi ha chiesto di... sì insomma, dei rapporti contro natura, ma le ho detto di no. Sono rimasto inginocchiato per cinque minuti a fingere di allacciarmi le Converse nel tentativo di dissimulare il colpo, assai violento. Poi, colto da un salutare conato di vomito, mi sono alzato in piedi e gli ho sorriso sportivamente: - Hai fatto bene. - Ma lei non pensa a te? - In che senso? - Ti lascia così senza farti niente? Cioè, tu stai a guardare e basta? - La conosci, no? Se glielo fai notare ti dice ragazzo, le mani le hai, usale. - Be', sarà pure la più bona della città, ma questo non è giusto. - Sai chi se ne frega della giustizia. E poi ti dirò, non sono per niente eccitato. - Non è mica normale. - No, in effetti non lo è. Ci ha pensato su un attimo e poi ha aggiunto: - Senti, te lo dico come a un fratello: lascia perdere la roba. Ti fa male, lo vedi, poi non ti viene più duro. Se lei è una tossica, mica devi per forza esserlo anche tu: io vado a letto con lei ma non mi sono mai fatto nemmeno una canna. Dammi retta, è meglio una birra. Mi ha dato un'amichevole zampata sulla spalla. Sono scoppiato a ridere e ho rinunciato a spiegargli che conosco afrodisiaci migliori dell'umiliazione. Poi mi ha detto solennemente, alzando il dito indice: - Mi devi promettere che non ti farai più. Guarda che ti sorveglio, ci sono sempre anch'io con voi due. Se vedo che ti fai ancora ti riempio di botte. Ho riso di nuovo, ma stranamente mi sono sentito rassicurato da quella minaccia. - Va bene, te lo prometto. Tu però picchiami, se vedi che ci ricasco. - Contaci. Domani ti porto del metadone, aiuta a fare a meno di quella merda. - Grazie. - Se non bastasse, ci sono le botte: te ne darò tante da farti nero, Principe, giuro. Dopo quella volta siamo diventati quasi amici. Quel bestione scalda un po' la mia vita. Stasera però mi sento di merda. Ormai il mio ruolo si è ridotto a quello di una comparsa: il vero protagonista è lui, e questo ferisce il mio orgoglio, non ci sono ancora abituato. La cosa peggiore è quell'"ancora", il dare per scontato che finirò per abituarmici. Il suo vantaggio rispetto a me è che non gliene frega niente di Gerti: per lui è solo un passatempo. Come ho già detto, è troppo estraneo alla nostra cultura per poter percepire la dimensione à rebours, il fascino decadente del personaggio. Lo stupisce la mia sofferenza, che cerco di mascherare dietro un atteggiamento apatico. Gli dispiace per me. Alla fine ci rivestiamo in silenzio: io non ho fatto praticamente nulla, in sostanza ho solo guardato. Gli volto le spalle, lui si sente in colpa, è evidente. Usciamo e lo saluto per andarmene a casa, ma lui mi blocca sul marciapiede: - Ehi, senti. - Che c'è? - Ti va di venire in discoteca con me? La mia reazione mi stupisce: accetto subito, e con gioia. Non sento nessun rancore, anzi mi fa piacere che me l'abbia chiesto. Non vedo l'ora di immergermi nel casino e non pensare più a niente. Mi carica sulla sua Cinquecento e mi porta all'Hennessy, in collina. Il locale è gremito. Ci sediamo a un tavolo defilato e lui mi fa bere un po' di cose mescolate assieme; io non reggo l'alcool e perciò mi ubriaco subito. Dopo una decina di minuti inizio a sentirmi benissimo: le luci psichedeliche mi pulsano nella testa e le cubiste mezze nude avvinghiate ai pali mi eccitano, eeeeh Macarena, tutto questo è demenza pura, ma stasera voglio essere demente, uno stupido coglione diciottenne, euforia e testosterone puro. La mia ubriachezza, a differenza del trip da tossico, è di quelle allegre. Comincio a ridere, lui mi guarda tutto contento, fa battute, mi dà pacche da camionista sulle spalle e continua a versarmi da bere. Ad un certo punto mi alzo completamente sbronzo e cerco di sovrastare il tunz-tunz urlandogli: - Andiamo a ballare? - Eh? Ripeto la domanda gridando più forte. - Non mi piace ballare. - risponde - Vai tu, io ti guardo. - Okay. Scendo in pista con passo malfermo. Come ho detto, di norma non ballo in presenza di estranei, ma stasera l'alcool ha portato a galla il carico di tensione che ho accumulato per settimane e ho bisogno di buttare a mare la zavorra. C'è un altro motivo per cui non ballo in pubblico, ed è che faccio uno strano effetto sui maschi elementari; sarà per come mi muovo, sarà perché ho qualcosa di androgino, fatto sta che incominciano a guardarmi in modo strano e qualcuno allunga pure le mani. Anche stasera è così: mi guardano, mi incitano con cori da stadio, fischiano, urlano volgarità. Carlos ride e applaude. Se lei mi vedesse in questo momento direbbe frocetto, che sei bono lo sappiamo, peccato che è tutta scena. Improvviso uno spogliarello senza nessuna tecnica: mi sfilo la maglietta e la faccio roteare sopra la mia testa; dopo un paio di minuti tre o quattro tizi in prima fila mi si buttano addosso e caschiamo per terra con le gambe per aria, annaspando come aragoste. Trovo la scena irresistibilmente comica. Rido a crepapelle e intanto sento le loro mani che mi toccano dappertutto, il loro fiato puzzolente d'alcool e di fumo, le loro barbe ruvide sul mio petto. Sto giusto incominciando a preoccuparmi degli sviluppi della situazione, quando vedo una mano calare dall'alto, afferrarli uno per uno e scaraventarli di lato. Segue uno scambio di battute da veri gentemen: - Che cazzo vuoi, coglione? - Chi minchia sei? La sua guardia del corpo? - È quello che se lo incula. - Frocio bastardo. Finale scontato: urla, rissa, intervento dei buttafuori che, prevedibilmente, ci buttano fuori. Carlos mi carica in spalla come un sacco di patate, con la testa all'ingiù contro la sua schiena, mi molla uno sculaccione per farmi smettere di scalciare e mi porta via. Continuo a ridere come un idiota e mi addormento in quella posizione. Quando riapro gli occhi sono sdraiato in un lettino singolo in una stanza modesta e Carlos sta parlando con una donna grassa con i capelli raccolti in una specie di foulard: - Ti preparo il káma - gli dice lei allontanandosi, qualunque cosa sia il káma. Carlos mi toglie le scarpe e i vestiti, mi mette sotto le lenzuola e mi rimbocca le coperte. Mi costringe a telefonare a casa per avvisare i miei. Poi si siede sul letto e mi dice serio: - Principe, così non va. - Eh, lo so. - Ti stai giocando la vita a testa o croce. Sbadiglio. - Lo so. - Ne riparleremo, adesso mi sa che hai troppo sonno. Si alza e spegne la luce. - Comunque eri molto sexy, sai? Avresti un futuro come spogliarellista pure tu. - Perché no? Potremmo mettere su uno spettacolino in coppia. Magari ci divertiremmo. - Ma no, dicevo per dire. - Comunque non si dice sexy, si dice hot - biascico mezzo addormentato. - Cosa? - Niente. - Buona notte, principe. Esce dalla stanza e chiude la porta piano, per non fare rumore.