Certe brave ragazze Dove il nostro eroe scopre di non essere ancora del tutto attrezzato per alcuni aspetti dell'esistenza materiale. - Niente travestimento, oggi il maschio lo fai tu. - Okay. - Guarda che se succede di nuovo non ci vediamo più. O magari sì, perché no, ci vediamo lo stesso, ma in tre. Mi piace l'idea di te che mi guardi mentre scopo con un altro. - Non succederà - taglio corto. Le porgo il braccio. Sento un po' male questa volta, ma non dico nulla. Il cuore mi batte fortissimo mentre il sangue mi sale al cervello troppo presto, con troppa violenza. Penso con lucidità e freddezza che questa volta morirò e non me ne frega niente. Penso che sarebbe bello morire d'infarto mentre lei gode. Sì, penso tutto questo e anche altre cose che preferisco non dire. Strana cosa l'animo umano, dottore; nessuno sa cosa sia, ma una cosa è certa: è pieno zeppo di immondizie. La sento respirare al mio fianco: non è ancora pronta. Finalmente emette un sospiro. Apro gli occhi, lei si volta verso di me con lo sguardo annebbiato. - Ora vediamo - dice pragmatica, ed afferra saldamente il mio bacino, come spesso fa per ricordarmi a cosa servo. Imposta penetrazione, ritmo e intensità, poi mi lascia continuare da solo. Intanto lo stereo ripete whores in my head, whores at the door, whore in my bed, quasi a ricordarmi chi è lei e qual è il mio ruolo. Sono ben conscio degli ostacoli che incontrerò. So che avrò un cedimento dopo la prima mezz'ora, ma sono in grado di fronteggiare il problema: la roba non aiuta, è soprattutto un fatto di autocontrollo. Si tratta di superare quel momento con uno sforzo di volontà: poi la stanchezza, la fatica, il dolore alle giunture, la voglia di finire in fretta si trasformano gradualmente in una condizione quasi estatica, che si sublima in una specie di doloroso nirvana. Gerti è fredda e assuefatta: ormai tutto le fa poco effetto. A volte rischia una crisi isterica per l'incapacità di sfogare l'eccitazione. Nei primi tempi la sua freddezza resisteva ad ogni mio assalto e il fallimento era terribile: rinunciavo ancor prima di tentare. Poi però, non so bene come, ho trovato il coraggio di riprovarci e ce l'ho fatta. Ho messo a punto una tecnica vincente, dottore, che posso descrivere così: il difficile, con un certo tipo di donna, è farle perdere il controllo; bisogna letteralmente costringerla, domarla come si fa con un cavallo selvaggio, strattonarla, rabbonirla, sussurrarle all'orecchio qualche irripetibile volgarità, farle cambiare posizione, accarezzarla per ore fino allo sfinimento. Spesso, stando dietro Michelle, la faccio mettere in ginocchio con il viso rivolto verso il grande specchio e la obbligo a guardarsi mentre facciamo sesso; è stupenda in quei momenti, ma non le piace vedersi. Si ribella, chiude gli occhi, inarca la schiena, rovescia la testa all'indietro, la cascata dei suoi capelli neri accarezza le mie spalle, la bellezza del suo corpo guizzante riflesso nello specchio è quasi insopportabile, devo stare attento a non lasciarmi andare, e garantisco che non è facile. Ho le mie strategie, per esempio ripassare la tabellina del nove o ripetere a memoria tutti gli affluenti del Po, prima quelli di destra e poi quelli di sinistra. Raddrizzo la sua testa e le dico guardati, devi guardare. Lei riapre gli occhi e ciò che vede nello specchio la eccita terribilmente, ma questo la innervosisce, sento i suoi muscoli contrarsi sotto le mie braccia, devo tenerla ferma, accarezzarle il collo finché non si tranquillizza. Finalmente le sue membra tese si rilassano, si abbandona a quel ritmo uniforme. È un segnale di implicita rinuncia al quale sono attentissimo. Proprio allora, quando abbassa le difese, è il momento di portare l'attacco finale, di fronte alla quale tutte le sue resistenze sono inutili. Funziona quasi sempre. Il piacere ottenuto in quel modo è innaturale, lascia stremati ma sostanzialmente inappagati. La maggior parte delle donne a quel punto si accontenta e cede alla stanchezza; io invece ho capito che quello è solo il punto di partenza. La costringo a ricominciare subito. Il resto è quasi un gioco da ragazzi. Vado avanti per ore, mantengo la promessa e addirittura raddoppio la posta. Alla fine siamo entrambi esausti ed io provo la strana commozione che mi prende sempre con lei. Mi aspetto che dica qualcosa, mi aspetto qualche complimento, che ne so, qualche commento. Ma lei, supina accanto a me, non dice nulla. Attendo qualche minuto e poi le faccio la più stupida delle domande che un uomo può fare a una donna: - Ti è piaciuto? Risponde con un mugolio. - A cosa stai pensando? - incalzo, deciso a farmi del male. - Niente, - risponde evasiva - stavo solo ripensando a quella variante. - Quale variante? - Massì, bisognerebbe ottimizzare la prestazione, non credi? Prima parlavo per assurdo, ma se ci pensi è un'idea: ci vuole solo la persona giusta. - Giusta per cosa? - Mentre mi scopavi ho pensato che sarebbe il caso di evitarti tutta questa fatica e ho capito che la persona giusta è Carlos. È un bestione stupido, non si formalizza. La prossima volta possiamo fare che tu incominci e poi subentra lui: così tu ti stanchi di meno e io ci metto la metà. Non rispondo niente. Si volta a guardarmi. Devo avere un'espressione comica (comica?), perché scoppia a ridere: - E non fare quella faccia. Mica ho detto che mi piace Carlos: è solo un bifolco con un cazzo da elefante, niente a che vedere con la tua dimensione estetica alla Andy Warhol. Avverto uno scricchiolio sinistro. - Be', che c'è? Irritata dal mio silenzio, Gerti mi guarda severa, incrociando le braccia sul petto: - Oggi proprio facciamo a non capirci, frocetto. Cerca di non fraintendermi, non t'ho mica detto che non sei bravo: non è nulla di personale, è solo che le dimensioni sono un fatto oggettivo. Tutto qui.