Michelle, dunque, o meglio Gerti. Ha fatto irruzione nella mia vita da poche settimane ed ha spazzato via tutto il resto, un vento gelido, nient'altro, solo lei. Ero alla ricerca di un'esperienza estrema e coinvolgente, in grado di farmi dimenticare i fantasmi del mio passato, e finalmente l'ho trovata. A Michelle permetto di tutto. È strana, è folle, è perversa, non ho mai conosciuto nessuno come lei. Con Michelle sto sempre male e proprio per questo non riesco a farne a meno: risponde ad un'esigenza molto profonda del mio essere. Se capissi quale, probabilmente scapperei a gambe levate. Sono stranamente sincero con lei: le ho raccontato quasi tutto di me, senza sentirmi in imbarazzo. Lei mi ascolta con fredda attenzione, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno a un dito, e non fa mai commenti. Non ho ancora capito se le interessi quello che le dico o se semplicemente stia cercando di studiarmi come un felino acquattato nell'erba che osserva una preda. La paura di non essere all'altezza mi fa regredire all’infanzia. Certe volte vorrei supplicarla di prendermi in braccio, ma la farei ridere: è del tutto priva di istinto materno. Così resisto stoicamente e ogni tanto mi prendo le mie piccole rivincite. Giorni fa, mentre andavo in bagno dopo una scopata, ho notato, in una specie di nicchia della parete, un grande dipinto coperto da un drappo di velluto verde. Di solito evito di fare domande, ma quella volta la curiosità è stata troppo forte. Le ho chiesto che senso avesse tenere in casa un quadro che non si può vedere. - Deve stare così - ha risposto neutra. - Chi è l’autore? - Nessuno. - Come nessuno? - Non può essere nominato. Non ho fatto altre domande. Ad un tratto ha sorriso sibillina: - Vuoi vederlo? Ho detto di sì. Ha sollevato il drappo e istintivamente ho fatto un balzo all'indietro. Lei è scoppiata a ridere. Stando alla targhetta sotto la cornice, il dipinto, a grandezza naturale, ritraeva Giovanna d’Arco poco prima di essere arsa viva sul rogo, ma secondo ogni evidenza la creatura dagli occhi vuoti che avevo di fronte, spettrale, asessuata, calva, verdognola, non poteva che essere un ectoplasma o qualcosa del genere. La fonte d’ispirazione dell'innominabile era stata certamente un cadavere in avanzato stato di decomposizione. Ho osservato la targhetta: - Scusa, non dicevi che il pittore non può essere nominato? Qui c’è scritto il nome: Christian Rosenkreutz. Gerti mi osservava nera, vuota: - Tesoro, ci sei o ci fai? Se c'è una cosa che non sopporto è di fare brutta figura con lei, il che mi capita un po’ troppo spesso. Poi, se mi chiamava tesoro, voleva dire che mi stava classificando come un idiota. Ho deciso di approfondire l’argomento in solitaria e sul momento ho optato per un bluff: - Già, che stupido: è uno pseudonimo. Lei mi osservava in silenzio a braccia conserte, ça va sans dire. Continuavo a sentirmi un cretino. - Curioso, - ho detto alla fine - Christian è il mio secondo nome. - Sul serio? Fossi in te mi farei chiamare Chris, anzi Kris col cappa. Fa più olandese e suona meglio di Emmanuel. - Non sopporto i diminutivi. E poi a me il mio nome piace. Per un momento mi sono sentito offeso. Mi ha guardato con lontano compatimento e ha rivolto gli occhi al dipinto: - Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Non ha una buona pronuncia del latino. Ho letto anch’io il libro e, in qualche remota era geologica, ho preso lezioni da una brava insegnante. L'ho corretta: - Prìstina, non pristìna. L’aggettivo pristìnus significa “della Balena” nel senso della costellazione, e non credo proprio che sia quello che intendeva dire Umberto Eco. Gerti mi fissava inespressiva: - Stronzetto, lo sai dove te la puoi ficcare la tua balena? Stronzetto è molto diverso da frocetto. Il barometro segnava tempesta. - No, dimmi. - Dove te lo ficcava il tuo amichetto comunista. Mi ha voltato le spalle. - Ricopri il quadro. Gli occhi mi si sono riempiti di lacrime: ho provato sdegno, vergogna, dolore in un mix caotico e furibondo. Non avrebbe dovuto alludere ad Antonio, non in quel modo volgare che non aveva nulla a che fare con la nostra storia, non con quel tono di scherno che stravolgeva in modo caricaturale il mio ruolo in quella storia, facendomi apparire come un marchettaro da quattro soldi rimorchiato sul marciapiede da un pervertito. E questo pur avendo sufficiente cultura per capire che il nostro era stato un rapporto alla greca tra un giovane uomo e il suo efebo, senza contare che non era leale da parte sua usare le mie confidenze contro di me. Ma già, l'idiota ero io che mi ero confidato con lei: solo un imbecille poteva aspettarsi lealtà da una come Gerti. Doppiamente imbecille perché mi sentivo solidale con uno che non mi aveva neppure voluto bene e piangevo per lui, per uno che adesso si scopava Elettra dopo avermi fatto sentire in colpa per il mio cavallo nero. E io che avevo smesso perché credevo che fosse geloso di me. Idiota, idiota. Avevo il viso inondato di lacrime, ero impresentabile: mi sono chiuso in bagno. Sono rimasto a piangere per qualche minuto chino sul lavandino, sciacquandomi il viso e gli occhi con l'acqua fresca. La rabbia per la mia ingenuità mi esplodeva dentro. Ma di colpo quella rabbia si è trasformata in un imprevisto strumento di vendetta: ho sentito una botta di sangue arrivarmi dritta all’inguine, mi sono asciugato il viso e l'ho raggiunta subito a letto. Se perde l’ispirazione è capace di mettermi alla porta dicendomi grazie tesoro, so fare da me. L'ho battuta sul tempo. Ho acceso lo stereo, le ho allargato le gambe, le ho afferrato i polsi e li ho stretti forte, Frédéric style. Si è svolto fra di noi un dialogo un po' alla Ionesco, che ricordo come se fosse ora e che, tutto sommato, non è il più sgradevole dei miei ricordi. Lei mi ha guardato gelida, che cazzo fai. Le ho risposto come che cazzo faccio, ti ho messo su When it's over, non sei contenta? Non è il mio genere ha detto lei senza espressione. Ho replicato ti piacerà vedrai, fidati. Se proprio dovevi, ha continuato lei, potevi optare per So young: la preferisco. Agli ordini signora, ho risposto stringendo più forte, lo prevedevo e li ho messi in sequenza. Ti sei rincoglionito frocetto, ha detto lei, comunque Over the edge non è male. Non è che non è male, ho puntualizzato, è un capolavoro e i gruppi posteriori ne dipendono un po' tutti. Mi ha fissato vuota e ha detto ma ti sembra il momento di fare questa cazzo di discussione. Ogni momento è buono per parlare di musica ho risposto. Frocetto, ha detto lei, non si capisce più se questa è una scopata o una conferenza musicale, comunque nel complesso stai andando benino. È il nostro rapporto che è così, cara, ho replicato io spingendole le mani sopra la testa e legandole con una sua calza alla spalliera del letto. Cara lo dici a tua sorella, ha ribattuto lei. Non ho sorelle, ho detto, e non posso chiamare sorella mio fratello perché non è gay. Almeno uno normale in famiglia, ha concluso lei, ed ha aggiunto con un sorriso sarcastico: vedo che lo hai messo in loop coniglietto, ammesso che serva; please, Rabbit, turn your warmers down. Vedi dottore, c'era qualcosa di surrealistico nel mio rapporto con Gerti: anche la tragedia aveva toni leggeri, lei non scendeva mai sotto il livello dell'epidermide. Era come danzare un valzer fra le tombe di un cimitero, e poco importa se il funerale era il tuo. L'atmosfera, con lei, era del tutto simile a quella della scena di Pulp Fiction in cui Mia Wallace collassa in overdose sotto gli occhi di Vincent Vega mentre lo stereo suona a tutto volume Girl You'll Be a Woman Soon: non c'è niente di drammatico, è tutto risolto sul piano estetico, muori ma non gliene frega niente a nessuno: l'importante è che la tua morte sia bella da vedere. Del resto è lo stesso Tarantino ad affermare: "la violenza è un soggetto del tutto estetico". Se solo fosse possibile vivere così, come in un fumetto. Comunque, per tornare a quella volta, ho affondato i pollici nei suoi polsi, ho preso il ritmo della musica e non ho smesso finché non l'ho sentita gridare, e non di dolore. Lei all'inizio si ribellava, mi mordeva selvaggiamente le braccia, mugolava di rabbia, cercava di liberarsi dalla mia stretta; ad un certo punto è riuscita a sfilare le mani dal nodo della calza e ha cominciato a graffiarmi a sangue la schiena con i suoi affilati artigli laccati di nero, fissandomi con odio, ma dopo qualche minuto il suo viso si è illuminato di una luce strana: ha smesso di divincolarsi ed ha accettato il mio gioco, assecondando i miei movimenti con quelli del suo bacino e ansimando in sincrono con me. Il riff strappacuore di quel brano mi ha sempre commosso fino alle lacrime e quella volta, sopraffatto com'ero dalla tensione e travolto dai lunghi strati di accordi ascendenti fino all'irresistibile crescendo in distorsione del finale, i miei occhi hanno incominciato a piangere senza che io me ne accorgessi: le lacrime si mescolavano al sudore scorrendo lungo la mia faccia e io non capivo perché piangessi, se di umiliazione o di rabbia o di inutile passione. Mi sono sorpreso a supplicarla vieni ti prego, vieni con me: allora lei ha cominciato a ridere gettando la testa all'indietro, una risata agghiacciante che per un attimo mi ha gelato il sangue nelle vene; poi ha aperto i suoi occhi neri di pescecane, il suo riso si è trasformato in un sorriso indescrivibile e subito dopo il suo volto ha assunto un'espressione di demoniaca beatitudine che non potrò mai dimenticare: ha richiuso gli occhi continuando a ridere sommessamente e ripetendo sì. Siamo volati insieme non so dove, non so per quanto. Alla fine non ci credeva neppure lei, il suo frocetto era in grado di farla godere. Ero stremato, provavo una felicità dolorosa e avvertivo ancora un tremendo bisogno di piangere. A scanso di equivoci lei mi ha afferrato per i capelli e mi ha detto non montarti la testa ragazzino, hai scopato da dio, ma è solo sesso. Poi si è alzata a sedere sul letto e raccogliendosi i capelli sulla nuca con un fermaglio d'avorio ha commentato: - La musica ti fa sangue, coniglietto. Scommetto che la ascoltavi anche quando scopavi con lui. Rinuncio a spiegarle che il mio rapporto con Antonio era essenzialmente intellettuale e che la musica ci univa per tutt'altri motivi. - Sì e no. - le rispondo evasivo - Lui ascoltava musica molto diversa, roba degli anni Settanta. - Oddio, quell'orrido polpettone di rockprogressive metalprogressive psichedelia acid-rock raga-rock e quant'altro? - No, aveva ottimi gusti. Gli piacevano i Soft Machine, per esempio. - Gusti paleozoici, il tuo amichetto: comunista e sessantottino. Andiamo bene. Però qualcosa di buono nel loro repertorio c'è. Non aggiungo nulla: aspetto che lo dica lei. - Moon in June, per esempio. Sorrido rassegnato: non avevo dubbi. - Non credo che potrei scoparmi uno così - dice pensosa. - No, - confermo con un mezzo sorriso - appartenete proprio a due specie diverse. - Era bello? - Sì, è un bel ragazzo, alto e bruno. - Allora potrei: basterebbe tappargli la bocca. Non posso evitare di scoppiare a ridere: - Tappare la bocca a lui? Non sai di cosa stai parlando. - Ah, quindi è quel genere di tritacoglioni che se non pontifica ex cathedra non si sente realizzato? - Più o meno, sì. - Come cazzo facevi a sopportarlo, frocetto? - Lo ammiravo. E poi sapeva come farsi perdonare. - M'immagino. - No, non è niente di quello che immagini. - Del resto, se io scopo con te e tu scopavi con lui, per la proprietà transitiva dovrei potermi scopare anche lui - conclude lei, grande ragionatrice, soddisfatta di avere aggiunto una possibile variazione al suo repertorio. Non replico nulla: fino ad un mese fa avrei riso, almeno in cuor mio, della sua uscita cinica e volgare, ma adesso non escludo che Antonio sarebbe capace anche di questo. Una malinconia improvvisa e struggente si impadronisce di me: mi riprometto, per il futuro, di evitare a priori qualsiasi rapporto ravvicinato con quel dannato nome di battesimo. - Comunque dobbiamo ripetere l'esperienza - ha concluso lei, e s'è alzata per andare in bagno. Sì, sono stato davvero grande quella volta. Devo solo evitare le ingenuità adolescenziali: con lei sono imperdonabili. Giorni fa ad esempio, scosso dall’ennesima offesa, ho tentato una specie di ribellione: - Scusa, ma se non t’importa un cazzo di me perché vuoi continuare a vedermi? Mi ha fissato stranita, come se le avessi chiesto qualcosa di profondamente stupido: - Mi irritano le domande retoriche. Non ce n’è molti in giro con i tuoi mezzi fisici. - Tutto qua? - Tutto qua dice. - Vuoi dire che mi trovi sexy? - Oddio ragazzo, ma da che pianeta arrivi? Non si dice sexy, si dice hot. - Mi trovi hot? - Mi piaci, mi ecciti, ho sempre voglia di te: ti par poco? - Per me è la stessa cosa. Anch’io ho sempre voglia di te. Mi ha guardato dall’alto di un’incommensurabile superiorità: - No tesoro, non è la stessa cosa. Io ho voglia, tu hai bisogno. C’è una bella differenza. Dio quanto sono stupido. Devo imparare a stare zitto.