- Ciao fratellino. - Ehi fratellone. - Possiamo parlare un momento? - Stavo uscendo, ma okay. - Sediamoci un attimo in salotto. Ti va di bere qualcosa? - Con questo freddo mi andrebbe al massimo una cioccolata calda. - Roba da bambini, ormai sei grande. Che ne dici di un glogg? - Un che? - Una bevanda calda tipica della Svezia a base di vino, liquore e spezie, una specie di parente nobile del vin brulé. È buona, fidati. Siediti, che te la preparo. - Okay. Mi siedo in poltrona e lo guardo armeggiare disinvoltamente con vino, cognac, scorze di arancia, cannella e chiodi di garofano su una sorta di piccolo fornello da campo di cui solo ora scopro l'esistenza in casa mia. Ogni tanto mio fratello mi stupisce, non sapevo che avesse l'animo del barista. - Come ti va? - Come al solito. - Scusa se mi faccio gli affari tuoi, lo sai che non è nel mio stile, ma ogni tanto ci sta che io faccia il fratello maggiore. Ecco qua il tuo glogg. Attento ai chiodi di garofano, ne ho lasciati giusto un paio perché mi piace l'aroma intenso che danno alla bevanda: il liquore bollente esalta il loro profumo, sale nel naso e va dritto al cervello, un po' come l'odore della neve in alta montagna. - O i suffumigi che ci faceva la mamma quando avevamo il raffreddore - aggiungo fissandolo diffidente. - Sì, anche - conferma lui. Mi mette in mano una tazzina di vetro fumante: assaggio con un po' di esitazione lo strano intruglio dal profumo balsamico e mi scotto subito il labbro superiore. Ci soffio su e lo sorseggio con cautela: è davvero buono, devo ammetterlo. Glielo confermo. Michele mi appoggia una mano sulla spalla. - Sicuro che vada tutto bene? - Sì, perché? È tutto okay, ti dico. Never underestimate the power of denial. Si siede nella poltrona di fronte alla mia e si protende ad osservarmi con le spalle un po' incurvate, tenendo il bicchiere in mezzo alle ginocchia con entrambe le mani. Ha l'aria di un critico d'arte che stia studiando un quadro. Mi sento imbarazzato. - Esci vestito così? - Sì, perché? - Maglietta, giubbotto, scarpe da ginnastica e jeans strappati in pieno inverno: non hai freddo? - No, non ho affatto freddo. Comunque, se vogliamo essere precisi, non è ancora inverno: è autunno inoltrato. Lui invece indossa un maglione norvegese, che per la verità gli dona. - Sei diventato proprio un bel ragazzo, non c'è che dire: praticamente il mio opposto, biondo e angelico. Hai preso tutto dalla mamma, non sembriamo nemmeno fratelli. - Non è vero, - lo smentisco - abbiamo la stessa corporatura e più o meno la stessa altezza. - Tu crescerai ancora, io no. - Spero non troppo, sono già abbastanza alto. E poi le nostre mani sono uguali. Le mani sono importanti, specie per un tennista: le nostre sono grandi ma belle, con le dita lunghe e sottili, come quelle di nostra madre. - Già, - conferma guardando le mie - con la differenza che io non porto anelli né braccialetti. Non che ti stiano male, tutt'altro, però sono un po'... - Femminili - concludo. - Sì. Sorrido con distaccata superiorità: - Gli anelli e i braccialetti si possono togliere. - No no, tienili: ti stanno bene, fanno parte del personaggio. - Che personaggio? - Il tuo: sei passato direttamente dal Candido di Voltaire all'angelo maledetto di Verlaine. Non è quello che stai interpretando adesso? Rimango un po' interdetto, poi mi scappa un mezzo sorriso. - Sì, direi che ci sta, come definizione. La citazione è imprecisa, ma mi astengo dal correggerlo: la definizione che Verlaine dà di Rimbaud è "angelo in esilio, Satana adolescente". - È proprio la tua parte, ti viene naturale. Solo che... Beve un sorso di glogg e fa una pausa da grande attore. A proposito di interpretare, chissà da quanto tempo provava questa scena, andando anche a rovistare fra i suoi ricordi liceali per trovare citazioni colte. Sta aspettando la prossima battuta; tocca a me pronunciarla: - Solo che? - Ecco, scusa se te lo dico, da qualche tempo non hai una bella cera: ti trovo troppo magro e pallido. - Sul serio? Boh, sarà che studio troppo e non esco più tanto. Inarca le sopracciglia con un'espressione della serie "vietato prendere per il culo". - Se è una battuta non fa ridere. Esci tutti i pomeriggi e di sicuro non stai studiando troppo: hai di nuovo greco e matematica sotto, fratellino. Cazzo. Si è informato. - Vabbè, un paio di cinque. Che ci vuole a rimediare? - Che ci vuole? Non lo so, dimmelo tu. Ti ricordo che quest'anno hai la Maturità. - C'è ancora tempo. - Stai scherzando, spero: fra poco è Natale. Per la matematica posso aiutarti io, non è un problema, ma per il greco mi sa che ci vuole l'aiuto di Antonia. Sbuffo insofferente: - Oh, ma di nuovo? - Eh sì, di nuovo. Ti toccherà sopportarla ancora per un po'. - Non credo che lei voglia sopportare me. - Lo farà, se glielo chiedo io. - S'incazzerà a morte quando saprà che ho di nuovo greco sotto. Era contenta, credeva che andassi bene. - Infatti avevi otto, fino all'estate scorsa. Poi cos'è successo? - Poi boh. È come quando giochi a tennis e all'improvviso un colpo che sai fare non ti riesce più. E comunque non voglio l'aiuto di Antonia. Non voglio l'aiuto di nessuno, me la caverò da solo. Immergo le labbra nel glogg e lo mando giù a piccoli sorsi senza aggiungere altro. Mio fratello si accorge che mi sono chiuso come un'ostrica e cambia tattica. - Ma quella ragazza che frequenti adesso... come si chiama? - Michelle. - Giusto, Michelle: che tipo è? Una figa che nemmeno te la sogni, fratellone. - Una a posto: è la figlia dell'avvocato Kerschbaumer, lo sai. - Bene, se non altro è un amico di papà. Comunque da quando la vedi sei cambiato, e non dire di no: non mi parli più delle solite scemenze, non vieni in montagna a sciare, non facciamo più nemmeno partite a tennis. Ti sono anche venute le occhiaie. - Be' dai, non mi va di entrare in certi dettagli. - Okay, buon per te se la tipa ci dà dentro a letto: anche a me piacciono le donne belle e focose, e quella ragazza è molto bella, lo ammetto. Però focosa non vuol dire ninfomane, se ci siamo capiti. Annuisco. - Vedi solo di non esagerare, tutto qui. Fatti-i-cazzi-tuoi. - No, giuro, è tutto a posto. Ho la febbre a quaranta e sto giocando a poker con Sinone e la moglie di Putifarre; manca il quarto: Mastro Adamo, immobilizzato dall'idropisia, ha declinato l'invito; lo sento affermare una plateale assurdità, cioè che la decima bolgia è lunga undici miglia fiorentine e larga non meno di mezzo: forse intende semplicemente dire che tra gli spergiuri c'è posto anche per me. Visualizzo per analogia la pieve di Romena in Casentino, una delle cose più commoventi che io abbia mai visto, di una bellezza mozzafiato che avrei voluto poter condividere con... Mi fermo, cogliendo i rischi del pensiero analogico, e lo sostituisco con una considerazione generica: devo avere ereditato da mia madre la passione per il romanico. Intanto Michele rimesta il suo glogg, girando pensosamente il cucchiaino fra le scorze d'arancia. - Non è che ti sei messo in una storia incasinata? Se non sbaglio lei ha ventidue anni, ci sono sempre problemi con le donne più grandi. Never underestimate the power of silliness. - Veramente è cinque centimetri più piccola - rispondo inespressivo. Questa volta lo dice a voce alta: - Eh no fratellino, non vale prendere per il culo. Ribatto con tono di sfida: - Okay, ha quattro anni più di me: e allora? Improvvisamente il suo sguardo si fa severo. - "E allora" con quel tono lo dici a tua sorella. Ci dev'essere un complotto contro di me: si sono messi tutti d'accordo per irritarmi con questa battuta del cazzo. Sono costretto a dargli la solita risposta con una piccola variazione sul tema. - Abbiamo una sorella? Me la fai conoscere? Sospira e cerca di armarsi di pazienza. - Emmanuel, non ho voglia di scherzare: cerca di fare la persona seria. A ventidue anni una ragazza è già donna, a diciassette un maschio è un ragazzino. - Diciotto, fra poco. - Non fare il fesso con me, fratellino, hai capito benissimo: il concetto è che hai a che fare con una donna, con tutto quel che ne consegue. Tu nemmeno te lo immagini cosa ne consegue. E mi tocca pure stare qua a fare il cretino e darti corda. Tentiamo con un classico, il buon vecchio "cioè". - Cioè? - Cioè, lei ha un sacco di esperienza in più. Oltre tutto mi sembra pure una ragazza viziata, esigente: per tener testa a una donna del genere ci vorrebbe uno come Frédéric. Al diavolo Frédéric. - No, guarda che ti sbagli. - Se è così tanto meglio. Ad ogni modo tieni la guardia alta, ti conviene: te lo dico nel tuo interesse. Non rispondo: spero con tutto il cuore che la conversazione sia morta lì. Invece lui sorride al suo bicchiere mezzo vuoto e riprende: - Alla tua età anch'io sono uscito con una più grande, lo sai? Questa da lui non me l'aspettavo: si vede che è di famiglia. Temo che sia in vena di confidenze: la cosa m'imbarazza, soprattutto perché è una strategia per estorcere le mie, di confidenze; ma non sono così ingenuo, non cadrò in una trappola così banale. - Si chiamava Francesca. - racconta il fratellone - Aveva trentasei anni e stava già con un altro, un collega di papà. Io di anni ne avevo diciannove, ho voluto sfidare la sorte. Sai come ci si sente alla tua età, praticamente onnipotenti. Estrae una buccia d'arancia dal cocktail, la succhia e si mette a masticarla pensosamente. - Alla fine ha scelto l'altro: era un uomo in carriera, poteva offrirle una posizione solida, mentre io ero un semplice studentello appena diplomato. Le piacevo molto, soprattutto a letto, ma non bastava. Mio fratello diciannovenne: io all'epoca avevo quattro anni, non riesco a ricordarmelo, men che meno ad immaginarlo a letto con una donna di trentasei. Suppongo che fosse bravo, come in tutte le cose che fa; poi l'amore dà una marcia in più, ed è chiaro che lui di quella donna era innamorato. Fisicamente era interessante, ho visto delle vecchie foto: portava i capelli più lunghi e aveva l'espressione scanzonata di un giovane zingaro, molto diversa da adesso. - Non posso biasimarla, - prosegue - una donna a trentasei anni sente avvicinarsi delle scadenze che non può rimandare, specie se vuole avere dei figli. Per una donna i trentacinque anni sono un traguardo critico, varcato il quale la natura riprende il sopravvento e ti ricorda tutti i momenti che il tuo tempo biologico sta per scadere. Dev'essere terribile, è come avere dentro un orologio che ticchetta in modo insopportabile, sai che devi sbrigarti a fare delle scelte prima che sia troppo tardi: lei era ogni giorno più nervosa, mi rendevo conto che mi considerava ormai solo una perdita di tempo. Non avrebbe mai voluto avere dei figli da un ragazzino spiantato e non poteva certo aspettare che io facessi carriera. È stato molto umiliante. Mastico un chiodo di garofano: ha un sapore orribile, me lo merito. Devo ammettere che la diagnosi di mio fratello è azzeccata, riconosco alcuni dei meccanismi psicologici che avevo già notato in Antonia. Non posso fare a meno di pensare che mio fratello mi ha battuto anche in questo: fra lui e la sua Francesca c'erano diciassette anni di differenza, più di quelli che separano me da Antonia. Lo ascolto con più interesse di quanto credessi: voglio sapere com'è andata a finire, che fine ha fatto lei. Prosegue: - Non è mai riuscita ad averne, di figli: ha avuto un aborto spontaneo, poi è diventata sterile. Mi è dispiaciuto saperlo. A posteriori trovo particolarmente stupido che mi abbia lasciato per questo, non trovi? Tanto più che ha divorziato nel giro di qualche anno. - Sì, - ammetto - è stato stupido da parte sua. Magari da te sarebbe riuscita ad avere un figlio. - Chissà. Ci ho pensato anch'io, ma ormai era troppo tardi. Non era neppure così bella, sai? Però aveva qualcosa che mi intrigava maledettamente, era affascinante e sicura di sé, sapeva come vestirsi e aveva una naturale signorilità che non ho mai ritrovato in nessun'altra donna. Una vera regina. Mi ero preso una cotta tremenda per lei, quando mi ha lasciato ho sofferto come un cane per un anno. Tutti i posti deve ero stato con lei mi erano diventati insopportabili, non sapevo più dove andare: avevamo girato mezza Torino cercando tutti i buchi possibili e immaginabili per... Esita. Sto per suggerirgli "per scopare", ma non è nelle sue corde, quanto meno non con me. Infatti prosegue: - ...per nasconderci. Alla fine ho rinunciato ad uscire e mi sono buttato a testa bassa nello studio: questo mi ha aiutato a non pensare a quella storia e mi ha fatto partire con il botto all'università, se non altro. Solleva gli occhi con uno sguardo complice: - Mi raccomando, resti fra noi, eh? Non lo sa nessuno, neppure Antonia. Papà non ha mai immaginato che la donna di un suo collega fosse la mia amante e non deve saperlo. - Non preoccuparti, sarò una tomba. Riprende: - Io l'avrei sposata anche subito. Non me ne sarebbe importato nulla della differenza di età, anche se a posteriori mi rendo conto che probabilmente sarebbe finita male: oggi avrei per moglie una quarantanovenne, chissà come mi sentirei. Ma forse, ti dirò, non me ne importerebbe niente neanche adesso: non sarebbe "una" quarantanovenne, sarebbe "quella" quarantanovenne. Mi piaceva davvero, quella donna. Rigira il bicchiere fra le mani, ad occhi bassi. - Mi manca soprattutto il suo calore. Prima si parlava di donne focose: lei lo era moltissimo, non avevo bisogno di chiederle nulla, era sempre lei a prendere l'iniziativa. Non dico che fosse ninfomane, ma certamente era molto calda, come nessun'altra donna che ho conosciuto: e questo per un uomo è un grosso rimpianto. Stringo le labbra per impedirmi di fare "quella" domanda, ma lui la intuisce da solo e prosegue: - Non che Antonia sia fredda, eh: ma rispetto a Francesca è, diciamo così, un po' tiepida. Intendiamoci, fratellino, non ho di che lamentarmi: Antonia mi va benissimo com'è. È un'intellettuale, e poi è più giovane di me, sia pur di poco: è proprio il tipo di rapporto che è diverso. Tiepida: non credo alle mie orecchie. A quanto pare in una donna convivono più anime. Del resto, non solo in una donna. Mi domando quanto ci metterà il fratellone a scoprire che la ninfomane ce l'ha al suo fianco: prima o poi accadrà, ne sono sicuro, e quello non sarà un bel giorno per lui. Sospiro, non potendo far nulla per aiutarlo a capire, e torno al discorso di prima, che in qualche modo m'interessa. Non posso fare a meno di chiedergli: - Perché non sei tornato a cercarla? Aveva divorziato, tu nel frattempo ti eri laureato e stavi già lavorando, suppongo. Scuote la testa. - No. - No cosa? - Bisogna imparare a dire di no a quello che ci fa male, fratellino. Ci avevo messo troppo tempo a guarire, non me la sono sentita di provarci di nuovo. È un po' come con la droga: se riesci a venirne fuori ti fa orrore l'idea di ricascarci. Ad ogni modo il succo del discorso è che devi stare attento: con le donne più grandi la partita non è mai facile. Ora cosa dovrei rispondergli: "non preoccuparti fratellone, mi sono fatto le ossa scopandomi la tua fidanzata, non ricordo come sia finita la partita ma a occhio e croce direi in parità"? Un tempo avrei almeno potuto dirgli che l'avevo amata veramente, la sua fidanzata, con lo slancio folle e appassionato di un adolescente idealista, e questo, conoscendolo, avrebbe nobilitato in qualche modo la mia figura ai suoi occhi; ma ora, alla luce degli sviluppi posteriori, sarebbe sembrata solo una faccenda squallida e ignobile. Rinuncio a commentare. - D'accordo, ci starò attento. Ora devo proprio andare. Poso il bicchiere vuoto sul tavolino e mi alzo: barcollo leggermente sotto l'effetto del cocktail di vino e cognac, ho il flash improvviso di un succo di ananas misto a rum. Michele mi si avvicina sorridendo: - Attento fratellino, mi sa che sei un po' sbronzo: non sei abituato ai superalcolici. Per fortuna non devi guidare. Vieni qua, dammi il cinque. - Okay. Mi stringe le spalle con le sue mani energiche. - Mi raccomando eh: in gamba. - Ciao. - Ciao. Mi avvio verso l'uscita, sperando che la mia coda non dia troppo nell'occhio mentre striscio fra i mobili; noto che lui mi sta osservando, la arrotolo disinvoltamente sotto braccio e raggiungo la porta. Sulla soglia mi volto. - Michele. - Sì? - Volevo dirti... - Cosa? - No, niente. Solo grazie.