Da qualche tempo Michelle mi coinvolge in giochetti erotici sempre più spinti, segno che qualcosa è cambiato fra noi. Si diverte a truccarmi da donna. La prima volta che le è venuta questa ispirazione mi ha fatto indossare la sua vestaglia di seta nera e mi ha messo a sedere sul letto con le spalle rivolte allo specchio. Ha messo su Shadow of a doubt, si è accovacciata accanto a me completamente nuda e ha cominciato il suo lavoro. Sorrideva, ricordo, sempre più soddisfatta man mano che vedeva il risultato. Non voleva che la guardassi, chiudi gli occhi sennò mi distrai, ed io sono rimasto ad occhi chiusi per una mezz’oretta, godendomi la carezza delle sue mani che mi sfioravano il viso con tocchi leggeri, stordito dal profumo inebriante di quei cosmetici. Per ultimo mi ha messo sulle labbra il rossetto stendendolo delicatamente con un pennello. Mentre lo faceva le ho morso un dito e ho incominciato a succhiarlo, ma lei si è arrabbiata, smettila, mi rovini il lavoro. Alla fine ha posato il pennello e mi ha detto voltati senza aprire gli occhi. Mi sono voltato alla cieca rimanendo seduto sul letto a gambe larghe. Mi aveva legato i capelli con un nastro per poter lavorare meglio: li ha sciolti e li ha divisi con la riga da una parte lasciandoli ricadere in disordine. Poi si è alzata in piedi e mi ha detto apri gli occhi. Li ho aperti. Un micidiale strike mi ha tramortito. Poi ho cominciato a mettere a fuoco i dettagli. Il contrasto tra la femminilità del mio viso, i capelli lunghi, le spalle larghe, il petto senza seno, le gambe muscolose, il sesso virile, mi prendeva alla bocca dello stomaco. Bello come può essere bella una creatura mitologica. Sei uno schianto ha detto Gerti. Ha voluto scoparmi subito. Mi sono reso conto che Gerti ha una forte componente lesbica. Me l'aveva tenuta nascosta, ma quel giorno è emersa chiaramente allo scoperto: non l'avevo mai vista così coinvolta. Da allora mi traveste sempre più spesso da donna, mi mette le calze nere e le scarpe con i tacchi a spillo, vuole che sia io a stare sotto. Una volta mi ha detto sei una ragazza stupenda, dimmi come ti chiami. Ho scelto il suo nome, Michelle: un colpo da maestro. Ha sorriso. Si è alzata, ha messo su la vecchia canzone dei Beatles ed è tornata a letto. Si è distesa sopra di me e ha cominciato ad accarezzarmi come non aveva mai fatto. Mi faceva impazzire sentirla sussurrare il suo nome al mio orecchio. Anche se sapevo che era tutta una recita, quello è stato uno dei momenti più indimenticabili della mia vita. Subito dopo mi ha steso con una botta al cuore altrettanto indimenticabile. Si è appoggiata su un gomito, mi ha accarezzato i capelli, mi ha fissato con i suoi occhi finti e mi ha detto frocetto, non è che per caso ti stai innamorando di me? Ma figurati le ho risposto ingoiando una sorsata di fiele, cosa vai a pensare. No, ha ripreso lei, perché se è così chiudiamo subito. Ci staresti troppo male. Quello è stato il suo unico soprassalto di moralità nei miei confronti. Qualche sera dopo, mentre stavo indossando i panni di Michelle (ero truccato e travestito a metà, con la gonna ma ancora a petto nudo, i capelli raccolti in una coda di cavallo), ho visto una chitarra buttata in un angolo. Non le ho chiesto nulla, ma lei ha intuito la mia domanda inespressa e mi ha detto che l’aveva dimenticata lì un certo Carlos. Si è sentita in dovere di specificare che il ruolo di questo tizio era marginale, trattandosi di un superdotato di cui faceva uso solo quando aveva bisogno di raggiungere in fretta lo scopo o quando qualcun altro (uno a caso) l’aveva lasciata insoddisfatta. Non ho manifestato la minima gelosia e ho continuato a travestirmi come se niente fosse. Poi ho sciolto i capelli e mi sono voltato, consapevole del risultato e dell'effetto che avrebbe prodotto su di lei. Ho volutamente ignorato la sua reazione involontaria (un piccolo sussulto e un sorriso); ostentando indifferenza, ho preso in mano la chitarra e ho accarezzato le corde. - Sai suonare? - mi ha chiesto. - Un po'. Mi sto esercitando con il play along di brani non troppo difficili, ad esempio Superball degli Helium. - Che tenero. Ti va di suonare per me? Ho imbracciato la chitarra, mi sono seduto per terra a gambe incrociate senza curarmi della gonna bianca e ho provato qualche accordo. - Sai chi mi ricordi? - mi ha detto lei - Thurston Moore all'epoca di Dirty boots. Hai lo stesso erotismo teenage. Ho sorriso di quel complimento un po' ingenuo. - Con la differenza che lui è alto quasi due metri ed è un genio della musica. - ho replicato - Inezie. - Inezie? Perché non bazzecole, già che ci sei? - Mi è venuto così. - Liceo classico. Comunque hai lo stesso modo di tenere la chitarra. - Che modo? - Inguinale. Come se suonasse il suo sesso. - Non farmi ridere, mi deconcentri. - Dai, suona. Ho attaccato Between the bars, un pezzo bellissimo che non può conoscere, perché finora è stato eseguito solo dal vivo: questa volta lo strike è mio. Lei non ha detto niente per tutto il tempo: mi fissava con uno strano sguardo. - Canti come un angelo - ha detto alla fine. - Grazie - ho risposto. - Non c’è niente di più arrapante che scoparsi un angelo - ha concluso, e mi ha trascinato sul letto per un braccio. Da allora canto più spesso per lei.