- Scusa Roberto, ti dispiace se ti richiamo più tardi? Sono a letto con Emmanuel. Sì, quello che te lo faresti pure tu. No, un discorso a tre è prematuro per il momento. Dici che Patrick sarebbe pronto? Se ne può parlare. Sento che è lì con te, salutamelo. Oh, ricordagli che dobbiamo provare il pas des deux, c'era qualche sbavatura. E digli di depilarsi le ascelle, la storia che così siamo più naturali con me non attacca. Adesso scusami, non è che posso stare qui un'ora al telefono a spiegarti le cose. Sì, buona scopata anche a te. Riattacca e tira via la spina per non essere più interrotta. Si volta verso di me: - Dov'eravamo rimasti? I suoi lunghi capelli scuri sfiorano il mio viso. La frequento ormai da un paio di mesi, ma ogni volta che la guardo rimango incantato dalla perfezione del suo volto: assomiglia alla Maddalena del Perugino, ma con qualcosa di inquietante nello sguardo che ricorda le donne di Leonardo. A prima vista l'espressione dei suoi occhi non tradisce in nessun modo la sua vera natura, ma ad osservarli meglio quegli occhi hanno una strana opacità, una fissità impermeabile al di là del velo di ironia che li scherma. Esiste l'anima, dottore? Lo so, è una domanda che dovrei rivolgere piuttosto ad un prete. Personalmente sono sempre stato convinto di sì, prima di conoscere Michelle. Quella donna ha messo in crisi tutte le mie convinzioni. Lei un'anima non ce l'ha, ne sono sicuro. Accarezza il mio corpo. - Un po' più di definizione ai pettorali non guasterebbe. Ma già, hai solo diciassette anni, c'è tempo. - Quasi diciotto. - Cambia poco. Per il resto complimenti a mamma Helena, proprio un bel lavoro. Hai mai pensato di fare il fotomodello? - No. Non mi è mai passato per la testa di usare il mio corpo per scopi del genere, ed è significativo che lei non lo capisca. - Peccato - conclude, e si sdraia in attesa. Mi distendo al suo fianco ad occhi chiusi. Come avrebbe detto mio nonno, il mondo è piccolo: ho scoperto che Michelle è figlia di amici di famiglia. I suoi appartengono all’alta borghesia romana, ma suo padre è di origine alsaziana e per qualche strana combinazione conosce mio padre. Ovviamente i suoi sono più altolocati, per cui la mia famiglia ostenta nei loro confronti deferenza e rispetto. Il risultato è che posso frequentare con la benedizione dei miei la donna più pericolosa di Torino. In casa sua si parlano correntemente, oltre all'italiano, il tedesco e il francese, due lingue che detesto in ugual misura. Può permettersi di non lavorare e quindi si dedica full time alle sue passioni. La principale è la danza: è la solista dei Magma, un gruppo cittadino piuttosto famoso, ed è per questo che si è trasferita a Torino. È ricca, viziata, abituata a prendersi tutto quello che le piace: perciò si è presa anche me. Vive sola in un appartamento all'Eremo, uno spettacolare open space praticamente senza mobili, con il pavimento coperto di tappeti persiani antichi; al centro ci sono uno stereo e un letto con le lenzuola di seta viola; davanti al letto uno specchio enorme, come quelli che si usano nelle scuole di danza, con due poster erotici di Egon Schiele appesi ai lati. Nell’intimità vuole che la chiami Gerti, come la sorella del pittore. Io trovo che il suo nome sia bellissimo, ma lei dice che fa troppo Beatles. Di solito quando vado a trovarla indossa sulla pelle una vestaglia di raso nero con un serpente d’oro ricamato sulla schiena, lo stesso che si è fatta tatuare sull'inguine. Mi dicono che appartiene a qualche setta esoterica delle tante che ci sono a Torino: dev'esserne la sacerdotessa o qualcosa del genere. In ogni caso mi tiene completamente al di fuori di queste esperienze, cosa della quale le sono grato, non avendo la minima propensione per l'occulto. Il suo ragazzo, Roberto, è un pervertito dall’aspetto angelico: pare che faccia parte degli Illuminati e che organizzi messe nere in casa sua; ma si sa, la gente dice tante cazzate. Condivide i miei gusti musicali ed è più avanti di me in certe esplorazioni: questo all'inizio, dottore, mi aveva illuso che esistesse fra noi una certa affinità spirituale. È un errore comune: i gusti musicali non significano niente, ma allora non potevo saperlo. Portavo ancora le cicatrici della mia storia con Antonio, in cui la musica aveva avuto tanta parte nel bene come nel male, ed ero convinto che fosse stato il destino a mettere sulla mia strada una donna che la pensava esattamente come me sulla musica contemporanea. Era ora di smettere di rimpiangerlo, finalmente potevo tornare ad essere me stesso. A conti fatti ero un miserabile idiota, dottore, perché era vero che non avrei dovuto rimpiangerlo, ma per tutt'altro motivo, e cioè il fatto che non mi aveva voluto bene. Il modo in cui mi aveva accantonato di colpo, con un taglio netto e senza ripensamenti, mi aveva reso evidente che da parte sua non c'era il minimo affetto: ero stato soltanto un incidente di percorso nell'esistenza di un razionalista eterosessuale. D'altra parte Michelle era totalmente all'oscuro del significato della parola amore e non ne faceva alcun mistero, per cui solo un imbecille avrebbe potuto infilarsi come un topo nella sua trappola. Il fatto è che in quel momento, dottore, desideravo proprio questo: che gli artigli affilati di un gatto mi facessero a pezzi lasciandomi agonizzante sul pavimento e che di tanto in tanto il felino venisse a vedere se ero ancora vivo e mi desse un colpetto con la zampa per giocare. Ho già classificato come cupio dissolvi questo fenomeno, ma non era una cosa volgare e insulsa come con Elettra: c'era della sacralità nel modo in cui Michelle mi faceva a pezzi, e questo mi dava un intenso piacere. Non chiedermi il perché, sei tu lo psicologo. Colgo l'occasione per aprire una parentesi che mi serve come distrattore momentaneo. Del mio periodo con Gerti ho rimosso quasi tutto e non vorrei rievocarne neppure un minuto se tu non mi costringessi a farlo per misteriose finalità terapeutiche; conservo però distinto il ricordo (non vorrei dire il rimpianto) delle nostre chiacchierate fra una scopata e l'altra mentre ascoltavamo musica ed eravamo ancora semilucidi: anche a distanza di tempo mi sembrano fra le conversazioni più interessanti che io abbia avuto in vita mia, le uniche in cui lei mettesse l'anima. Una cosa di cui non finirò mai di ringraziarla, nonostante tutto, è il fatto di avermi definitivamente convertito al vinile: lei detesta i cd e non ne ha neppure uno in casa; ha un ottimo lettore, un Marantz CD5400, ma lo usa solo per ospitare i miei cd. Gerti possiede un formidabile impianto stereo: come tutti i veri intenditori, detesta gli apparecchi multifunzione ed ha optato a colpo sicuro per un assemblaggio personalizzato dei più costosi ed esclusivi componenti di marche diverse, scelti alla luce delle loro particolari caratteristiche tecniche. In questo impianto trova posto anche un imponente registratore a bobine Studer: la qualità del suono di quei nastri è stupefacente, e questo per lei, ballerina professionista, è molto importante. Avevo già notato quanto sia più caldo e avvolgente il suono del vinile rispetto a quello del cd grazie all'ottimo impianto stereo di Antonio, un altro amante dell'analogico. In realtà lui stesso mi ha spiegato che la presunta superiorità del vinile è solo un mito e che il cd audio ha più frequenze del vinile: proprio per questo risulta troppo metallico e stridente all'ascolto; il problema si potrebbe risolvere con una sapiente opera di equalizzazione, ma si fa prima a mettere su un vinile. Non tutti i miti musicali di Gerti erano alla mia portata; grazie a lei ho conosciuto per esempio gli Helium di Mary Timony, un gruppo per intenditori che apprezzo molto; su altri gruppi, come gli Swans, ancora non la seguo: sono troppo lugubri per me, forse avrò bisogno di maturare un po' per capirli. Ma per lo più in campo musicale ci intendevamo a meraviglia. Ricordo ore intere passate a parlare dei nostri gruppi preferiti, in particolare le lunghe discussioni sul ruolo di Kim Gordon e Thurston Moore nei Sonic Youth. Entrambi eravamo convinti che il gruppo fosse insuperabile nel suo genere, una potentissima sintesi di generi antitetici, rabbiosa, allucinata, disturbante; entrambi pensavamo che la grandezza del gruppo poggiasse sull'equilibrio magico e difficile tra due personalità opposte, non solo musicalmente; ma mentre lei considerava predominante il ruolo della Gordon, con i suoi giri di basso ipnotici e ripetitivi, la sua cultura warholiana e i sussurri della sua voce gelida che esprime perfettamente l'alienazione delle metropoli americane, io invece ero convinto che la vera rivoluzione del gruppo stesse nel suono e nello stile di Moore e Ranaldo, uno stile eretico che sfrutta fino all'estremo la componente fisica delle chitarre, non tanto nelle parti noise, quanto nelle parti melodiche, dove le loro chitarre accordate in modo improprio e anomalo creano effetti sgangherati, dissonanze e scale imprevedibili, con una ritmica tribale e primitiva ispirata alle danze dei nativi americani, accentuata o smentita dalle percussioni di quel fenomenale batterista che è Steve Shelley ed esaltata dalla voce eroticamente adolescenziale di Moore. Ricordo lunghe discussioni con Gerti a proposito di questa dualità, in particolare una in cui lei mi mise alle corde costringendomi a riconoscere che uno dei miei pezzi preferiti, Inhuman, si reggeva sul ritmo pulsante del basso: "Togli quel basso - mi disse - e il pezzo ti crolla". Io, che volevo fare quello che ne sa, le risposi: "Un po' come Death To Our Friends si appoggia quasi completamene sulla batteria di Shelley" e lei, guardandomi con occhi neutri, mi disse: "Cazzo c'entra con la dualità Gordon-Moore?"; uno dei non pochi casi in cui mi fece sentire un cretino. Per tornare all'enigma dei SY, il punto a mio parere è che nella loro musica convivono il più gelido intellettualismo newyorkese e la sensualità più elementare, che si polarizzano appunto nelle figure di Gordon e Moore, compagni anche di vita e non solo di avventura musicale. Il contrasto fra queste due figure non potrebbe essere più stridente: lei donna, adulta da sempre, colta, impegnata, padrona di sé, apollinea, cerebrale, algida anche nella sensualità; lui cucciolo dionisiaco, eterno adolescente, naturalmente dotato di quello che Gerti definiva erotismo teenage, con il rischio di essere vissuto più come un eterno toy-boy che come quell'artista straordinario che è: una sottovalutazione irritante e ingiusta. Personalmente ero convinto che la situazione fosse troppo conflittuale e l'equilibrio troppo delicato per poter reggere alla distanza, ma fino ad oggi sono stato smentito dai fatti. Grazie a Michelle ho approfondito anche la mia conoscenza dei Pixies, che avevo sempre considerato semplici precursori della musica che amo. Niente di più sbagliato. Comunque si chiuda il mio rapporto con lei, almeno questo glielo devo: mi ha fatto conoscere uno dei più grandi gruppi di alternative rock. Il loro è un codice comunicativo complesso, che richiede impegno per essere compreso a fondo, tradotto in un linguaggio straniato, pieno di implicazioni esoteriche e nello stesso tempo ironico e dissacrante: il tutto calato in invenzioni musicali adrenaliniche, stralunate e di immediato impatto, senza contare il fatto che sono straordinari strumentisti e vocalist: nessuno riesce a modulare la voce in modo così duttile, acido e schizofrenico come Black Francis, tranne forse il suo grande precursore David Thomas dei Pere Ubu. È strano che io abbia avuto bisogno della mediazione di Gerti per accorgermene: avrei dovuto capirlo da solo, quanto meno perché Kurt ha sempre ammesso il suo debito nei loro confronti. Tu penserai che sto menando il can per l'aia, dottore, e in effetti è così: nessun maschio parla volentieri dei propri fallimenti sessuali, e fallire a diciassette anni con una ragazza bellissima è a dir poco preoccupante. Mi si prospetta un futuro d'impotenza. Chiudo la parentesi e ritorno al racconto. Dopo le prime settimane di euforia il vuoto del mio rapporto con Michelle ha incominciato ad incidere in modo imbarazzante sulle mie prestazioni sessuali. Lei non era per nulla indulgente da questo punto di vista e sentirmi sotto esame non ha fatto che peggiorare le cose. Un giorno, mentre eravamo a letto, mi ha leccato dappertutto sussurrando qualche irripetibile oscenità: è il tipo di ragazza al quale piace farlo, si diverte a vedermi arrossire; la mia timidezza la eccita, ma su di me ha effetti fisici disastrosi. S’è tirata su a guardarmi e mi ha detto "senti bello vedi di darti una mossa, d’accordo che sei un fico da fartisi all’impiedi" dice fico con la c, come tutti i romani, "ma neanch’io sono da buttare, m’hai vista bene?" Naturalmente le ho assicurato che è la più bella ragazza da letto che io abbia mai frequentato - be’, non le ho detto proprio così, ma il concetto era esattamente quello -, ma lei voleva che glielo dimostrassi, e a certe cose non si comanda. - Senti frocetto, - ha concluso secca - così non ci siamo. Il serpente mi ha sfiorato il polso con sottili zanne d’oro mentre lei si sfilava la vestaglia; ho istintivamente ritirato il braccio; ma lei, prendendo fra il pollice e l'indice la chiave che teneva appesa al collo con una catenina d’oro, ha aperto un cassetto del comodino e s’è girata a guardarmi con un sorriso, non avere paura, lascia fare a me: la gente è banale, se non vede buchi sulle braccia non se ne accorge. L’ho lasciata fare, e non quella volta sola. Il mio pensiero va e viene, qualcosa mi risucchia, è già come fare sesso. Lei mi guarda e vede l'onda salire. Mette su i Pixies, sempre lo stesso brano in loop, e si comincia. Scopare al ritmo di Into the white con quella roba in corpo è un'esperienza indescrivibile, ancora adesso se ci ripenso il sangue mi sale al cervello. La Deal con il suo canto solitario, monocorde, sinistramente suadente come quello di una collegiale assassina, campeggia al centro della scena immobile come l'Om primigenio, circondata dal sabba maschile della chitarra acustica che si fonde e si allea con gli strappi aggressivi dell’elettrica letteralmente grattugiata da Joey nel chorus, mentre la batteria sempre più isterica esplode in un crescendo orgasmico che simula un coito rabbioso e interrotto. Tento di razionalizzare mentre scrivo, ma non è facile; a dirla tutta mi vergogno: tutto questo non depone a mio favore. Del resto, non peggio di tante altre cose. Una serie di orgasmi che hanno poco a che fare con quello che sto facendo comincia ad accavallarsi nella mia spina dorsale; ora non ho più dubbi sul fatto che il piacere parta dal cervello e non dai genitali, come del resto avevo già capito con Antonia. In questi momenti sparisce tutto, la mia mente è vuota. Non saprei descrivere esattamente quello che accade, è tutto confuso; so solo che il piacere non riesce a liberarmi dall'eccitazione, smetto solo per ricominciare e alla fine sento un crampo al basso ventre e non so più se è piacere o dolore. Credo di essere stato bravo, ammesso che la parola abbia un senso nel contesto. Lei si alza dal letto soddisfatta. - Hai visto frocetto, - mi dice - a tutto c'è rimedio. Mi lascia sempre solo alla fine. Mi avvolgo nel lenzuolo come in un sudario e rimango immerso nei nostri liquidi organici, mentre la musica finisce e il flash si riassorbe alla rovescia con una sensazione di vuoto. Tremo di freddo e il sangue mi pulsa alle tempie, ho una strana tachicardia, mi sento la schiena spezzata. Più in basso di così non si può, ed è esattamente ciò di cui avevo bisogno adesso: Michelle è la metafora perfetta della mia vita.