Antonio Che Guevara ha diciannove anni ed è una di quelle persone che pensano che non si possa vivere senza la politica. Il suo vero nome è Antonio Scicchitano, ma tutti lo chiamano Che Guevara per ovvi motivi: assomiglia al Che anche fisicamente, sebbene a me, a dire il vero, ricordi di più l'Ulisse televisivo. Un Ulisse con i capelli lunghi e l'eskimo. Lo conoscevo già di vista, e non avrei potuto farne a meno, perché uno come lui, alto, con i capelli e la barba nerissimi, di una bellezza greca e severa tipicamente meridionale, non passa certo inosservato nei corridoi di un liceo. Mi è sempre sembrato un ragazzo molto interessante, più per l'espressione dei suoi occhi, seria e intelligente, che per il suo aspetto fisico, ma non gli avevo mai parlato e non conoscevo il suo nome. Quando l'ho saputo ho avuto modo di apprezzare ancora una volta l'ironia del Demiurgo. È originario di Cassaro, un paesino in provincia di Siracusa, ed è a tutti gli effetti l’ultimo dei figli del Sessantotto: orfano di piccì e figicì, nostalgico di lotta continua e potop, si sente a disagio nella cultura minimalista della mia generazione, come se avesse vent'anni di più. Non a caso i professori lo trattano come un loro pari. È un ottimo studente: ha vinto diverse borse di studio ed ha partecipato a qualche concorso nazionale di non so cosa piazzandosi sempre nei primi dieci, cosa della quale il Preside ha menato gran vanto in più occasioni. Ma la sua vera passione, come dicevo, è la politica: è il leader del gruppo di sinistra del Gioberti; è un liceo all'antica il nostro, c'è chi crede ancora in queste cose del passato. Di recente s’è fatto un nome anche a Palazzo Nuovo: quando prende la parola in assemblea lo stanno tutti ad ascoltare in religioso silenzio, anche i ragazzi più grandi, evitando le battute razziste sul suo italiano strano, con troppe doppie e con tutte le e chiuse. Anch'io lo ascolto, e non perché me ne importi qualcosa della politica, soprattutto di quella politica. Ma Antonio è diverso: Antonio ha quel che si dice carisma. Il suo vangelo è roba vecchia, mercanzia da missionario: ma mentre sparpaglia sul tavolo perline, vetri rotti, specchietti e fondi di bottiglia, è veramente convinto che siano diamanti, e la gente ci crede perché ci crede lui. È un buon parlatore e un ottimo ascoltatore, dote rara in un politico; un giorno mi ha detto che lo deve a Plutarco: non so cosa intendesse dire, ma ho assentito convintamente per dissimulare la mia ignoranza e mi sono ripromesso di chiedergli spiegazioni più tardi. Ascolta gli altri oratori con interesse e rispetto, con la schiena appoggiata alla parete e le braccia conserte; quando arriva il suo turno si avvicina al microfono a testa bassa, con l'andatura un po' caracollante di un grosso Terranova, ed esordisce quasi sempre con una battuta bonaria per stemperare le tensioni. Non che sia particolarmente spiritoso, però è simpatico: gli piace scherzare sui suoi avversari, smontare quelli che si prendono troppo sul serio. Una volta un ciellino gli ha detto: “E ricordati che parlo davanti a Dio”; e Antonio, che gli stava di fronte: “Grazie, non credevo che mi tenessi in così alta considerazione”. Un altro gli ha detto a proposito dell'aborto: “E tu saresti un credente? Vorrei proprio sapere come ti comporti davanti alla comunione!”. E lui, serafico: “Apro la bocca e ingoio l’ostia”. Siccome non si può contemporaneamente ridere e credere, di solito l'altro molla la presa. Questo gli consente di vincere praticamente senza combattere, per forfait dell'avversario. Nella mia scuola gli vogliono tutti bene, perché non è mai offensivo ed è in evidente buona fede. Antonio è quel che si dice una bella persona, perciò è escluso che possa fare carriera in politica. È una mattina di fine gennaio e c'è la solita autogestione, una perdita di tempo alla quale facciamo tutti finta di credere; e qui apro una piccola parentesi: non è strano che noi adolescenti facciamo finta di crederci, ma è preoccupante che lo facciano anche gli adulti, Preside compreso. Io non sono uno studente modello come Antonio, ma in certe cose sono più intransigente di lui: abbiamo infinite occasioni per cazzeggiare, senza bisogno di occupare la scuola per farlo. La scuola offre occasioni importanti, ma sono tutte legate con lo studio. Se decidiamo che studiare non serve, il che è senz'altro possibile, allora la scuola va abolita: ma questo mediocre guazzabuglio non serve a nessuno, se non forse ai professori per prendere lo stipendio a fine mese. Ad ogni modo eccomi qui, in aula magna, seduto per terra in prima fila con le gambe incrociate. Sono le dieci del mattino e un tizio sul palco sta facendo un discorso oggettivamente inascoltabile, un distillato di melassa reazionaria; due o tre studenti alle mie spalle protestano, parte una bordata di fischi e va-ffan-cu-lo. Quello che stava parlando esclama eccola la vostra democrazia, uno in fondo all'aula urla ma sparati leccaculo, un altro gli grida collaborazionista del cazzo, la situazione degenera. Antonio interviene immediatamente: afferra il microfono e urla fermi, cosa fate, ci sono i ragazzini del ginnasio. Decisamente non è aria: mi alzo per andarmene, ma mentre sto cercando di defilarmi vengo urtato da un gomito vagante e il mio naso incomincia a sanguinare copiosamente. Esco di corsa per andare in bagno. Riesco ancora a vedere Antonio saltare giù dal palco e separare due che si spintonano. Poi più niente, perché sono entrato in bagno. Apro il rubinetto e metto il naso sotto l'acqua fredda. Sono seduto da una decina di minuti sul davanzale della finestra, con il fazzoletto premuto sul naso, quando vedo entrare Antonio. Alto, imponente, deciso, si avvicina a me. - Come va? - mi chiede preoccupato. - Non è niente, sta già smettendo. Spero solo che non mi venga il livido. - Fa' vedere. Rovescia la mia testa all’indietro e mi esamina il naso. - Non ti verrà il livido, è solo una venuzza interna. Però sanguina ancora. - Che succede di là? - Ho detto che se non la piantavano chiamavo i carabinieri, hanno smesso subito. Razza di coglioni. Non tirarti su, devi stare con la testa all’indietro. Mi spiace. - Non è mica colpa tua. - Sì che è colpa mia: l'autogestione l'ho organizzata io. - Ma che c'entra? E poi mi sento bene, non preoccuparti. Si appoggia al lavabo davanti a me gettando sguardi diffidenti ai miei capelli, all'orecchino al lobo sinistro, alla maglietta aderente, ai jeans strategicamente strappati, al bracciale d’oro al mio polso, alla mia mano che regge il fazzoletto, alla fascetta d’argento intorno al mio anulare. Da qualche tempo mi vesto così; è una forma di depistaggio: gli altri si concentrano sul mio aspetto fisico, che i maschi della mia famiglia criticano senza riserve e mia madre osserva con il compiaciuto interesse con cui si osserva un dipinto di cui si vanno definendo i dettagli, e non guardano al di là delle apparenze; perciò mi lasciano in pace. Antonia ovviamente capisce, ma ogni comunicazione fra noi è interrotta da tempo: intratteniamo rapporti freddi e cortesi, buongiorno buonasera come stai come va la scuola, una pantomima insensata alla quale le formalità della vita quotidiana ci costringono. Non so chi di noi due ne sia più disgustato: cerchiamo entrambi di evitarci e di passare meno tempo possibile in quella casa, ma lei è la fidanzata di mio fratello e io in quella casa ci vivo. Ad ogni modo vedo bene con che occhi mi guarda quando mi incontra nei corridoi: c'è dentro di tutto in quegli occhi, rimprovero, biasimo, desiderio, rimpianto. E il rimpianto è ben giustificato, perché non rivedrà mai più il suo ragazzino: ormai è morto. Antonio commenta con un sorriso: - Be’, che dire? Se non altro il pregiudizio del genere siamo riusciti a eliminarlo: è difficile distinguervi dalle ragazze. Apprezzo il suo tentativo di intavolare una conversazione e lo assecondo. - Non farti ingannare, non è niente di serio. Non è simbolo di niente, non c’è nessuna rivendicazione, non siamo nemmeno gay. È solo una questione di trend. Scuote la testa facendo ondeggiare i capelli, neri e lucidi come le penne di un corvo: - Che cazzo di generazione. - Ne fai parte anche tu: hai solo un anno più di me. - Due, cioè mille. E il prossimo trend quale sarà, rasarvi a zero? Così non ti sarà servito a niente farti 'sti capelli biondi. - Sono biondo naturale - puntualizzo. Pensavo che fosse evidente. Scoppia a ridere. Ha una bella risata. Potrebbe andarsene, dato che ha visto che sto bene, ma resta accanto a me. Per passare il tempo si mette a guardare le piastrelle di ceramica verde del bagno, piene di disegni osceni e di scritte fatte col pennarello. Questo gli offre uno spunto per mandare avanti la conversazione. - Perfino le scritte sono diventate stupide; va be’ che non ci si può aspettare alta letteratura dalle scritte dei cessi. La posizione in cui mi trovo mi impedisce di vedere la parete di fianco a me. - Cosa c'è scritto? - chiedo. - “Marco ama Silvia”: banale. “Barbara la dà a tutti”: eh, conoscerla, questa Barbara. Questa è ermetica: “Davide c’è”; poi le solite cazzate: “Paolo frocio”; “In questo cesso mi sono fatto Cristina”; “In questo cesso mi sono fatto”. - La risposta al precedente. - “Debiasi coglione”: qui siamo in una zona di reperti archeologici, Debiasi è andato in pensione cinque anni fa; era un bravo professore, ma non sapeva tenere la disciplina. Senti questa: “Autogestiamoci la vita”. - Una femminista, un pezzo d’antiquariato. - Già. Vediamo un po' cos'abbiamo qui: “La sola differenza fra la nostra violenza e la vostra è che noi abbiamo ragione”. Un pregevole saggio di velleitarismo fine a se stesso. E qui: “I migliori hanno perso ogni...” non si capisce, piede? - Fede - azzardo senza vedere. - Sì. Be', questa è profonda, dai. - In che senso? - Non si può spiegarlo così, nel gabinetto di una scuola. Ma cos'hai? Ti trema il braccio. - Sono un po’ stanco di stare in questa posizione. - Da' qua. Prende il fazzoletto e lo preme con delicatezza sul mio naso. Si guarda intorno. - Tanto per cambiare il pavimento è sporco, sui lavabi non c’è sapone e non c’è carta igienica nei gabinetti. Ci trattano come porci. In effetti trapela attraverso il fazzoletto una tipica puzza ammoniacale. - Che classe fai? - Seconda liceo. - Che sezione? - Sono nella C. - Ah, quindi con la Marinetti e Sanmarco. Sei fortunato, sono due ottimi insegnanti. Strano però, non ti avevo mai notato nei corridoi. Intende dire, ovviamente, che neppure io passo inosservato. Rispondo con tono evasivo: - Non mi faccio vedere molto in giro; preferisco restare in classe, anche perché ultimamente le ragazze si prendono delle strane confidenze con me. - Cioè? - Che ne so, una ieri mi ha messo una mano sul sedere mentre ero alla macchinetta delle bibite. Anche in classe comunque le mie compagne mi si siedono in braccio e mi mettono le mani addosso. Scoppia a ridere scuotendo la testa. - Cambia look, ragazzo, se non ti va che si prendano queste confidenze. Con me non lo fanno, chissà come mai. Intende dire che anche lui è attraente, ma nessuno si sognerebbe mai di prendersi certe libertà con lui. Mi secca ammettere che ho fatto la figura dello stupido: è evidente che la cosa dipende da me e che sono io stesso a provocarla. In realtà non so nemmeno io perché lo faccio: non m'interessa nessuna di quelle ragazze, eppure cerco di attirare l'attenzione di tutte sul mio aspetto fisico. Forse è una specie di rivincita per il mio amor proprio umiliato e offeso, forse semplicemente sto tentando di distrarmi dal mio star male con qualcosa che funga da galleggiante. Certe notti annego in un barile di inchiostro, vorrei essere morto. Ma questo lui non può saperlo. Antonio guarda l’orologio: è passata una ventina di minuti. Mi viene il dubbio che si stia trattenendo lì controvoglia, anche se sinceramente non lo credo: penso di piacergli. Ad ogni modo gli dico: - Ti sto facendo perdere tempo. Puoi andare se vuoi. Mi mordo subito la lingua: quel “puoi andare” suona come la concessione di un principe al suo suddito, ed io non voglio apparirgli come quel ragazzo ricco e viziato che sono. Arrossisco violentemente cogliendo il suo pensiero inespresso: nonostante il mio travestimento grunge, emano un inconfondibile odore di razza eletta. - Sei mai stato ai Murazzi? - mi chiede, distogliendo lo sguardo e fingendo di non accorgersi del mio imbarazzo. Grato della sua discrezione, gli rispondo: - Certo: ci passo tutti i giorni per andare a casa. - Dico nei locali, di sera. Ce ne sono di interessanti, se ti piace la musica. Da fine stratega qual è, mi sta portando sul mio terreno: sta creando i presupposti perché la cosa non finisca in quel bagno una volta che il mio naso abbia smesso di sanguinare. Sento il mio cuore allargarsi. - Adoro la musica, - gli rispondo convintamente - ma dipende cosa suonano. - Più che altro rock. - Antico? Progressive o roba del genere? - Che vuol dire antico? La musica migliore è quella degli anni sessanta-settanta. Scuoto la testa con un mezzo sorriso: - È un luogo comune. Secondo me la musica migliore comincia proprio alla fine degli anni settanta. - Credo proprio che ti sbagli. - Non fraintendermi: lo so che ci sono stati dei grandi anche prima, ma in generale c'è troppa retorica. - Spiegati meglio. - È proprio il loro concetto di musica che non mi va, tutti quegli assolo che non servono a un cazzo, i coretti e cose del genere. Oppure tutto il contrario, sono sperimentali e cerebrali, freddi, come i King Crimson e i Soft Machine. Ride: - Freddi i Soft Machine? E che mi dici di Moon in June? - Lo ammetto, è un capolavoro, ma è un'eccezione. - Wyatt è un grandissimo. - Sì, su questo hai ragione: mi fa morire il suo modo di cantare, ci mette l'anima in quella voce quasi afona. Quando canta sembra posseduto da un demone. - Tutti i musicisti veri sono posseduti da un demone. - È completamente dionisiaco, molto sexy. - Mah, sexy... Diciamo che nella musica io cerco altro. - L'hai mai visto suonare la batteria a torso nudo? - Non la suona più, dopo l'incidente del '73. - Lo so, purtroppo. - Comunque Las Vegas Tango basta da solo a consacrarlo alla genialità. - The End of an Ear dici? Sì, è geniale, ma c'è troppa avanguardia per i miei gusti. Vedi, è proprio quello che cercavo di dire: secondo me in quel periodo manca il senso della misura, si va da un eccesso all'altro. Non parliamo poi del metal, terribilmente kitch. - Su questo sono d'accordo. - La musica che mi piace veramente comincia dagli anni ottanta. - Madonna? Michael Jackson? Prince? Alzo gli occhi a guardarlo: non ci siamo proprio capiti. - Joy Division, Sonic Youth, Pixies, Fugazi, Slint, R.E.M., Nirvana… è un discorso lungo, magari ne riparliamo con calma, se ne avrai voglia. E poi te l'ho detto, qualcosa nei sessanta-settanta lo salvo. Ride di nuovo: - Grazie della concessione. Sta' giù con la testa. Per esempio cosa salvi? - Per esempio i geniali precursori: Talking Heads, Television... - A proposito di Television, lo sapevi che Tom Verlaine è nato come poeta? - No, ma si capisce da tutto, compreso il nome d'arte che si è scelto. Ma più che altro trovo geniale il suo modo di suonare la chitarra. E poi è maledettamente affascinante. - Ci sarà un motivo se Patti Smith ha perso la testa per lui. - La sua musica è un mix di intellettuale e sensuale. Arrapante. - Più intellettuale che sensuale, direi, come la maggior parte della musica della East Coast. Un brano come Venus de Milo è puro dadaismo. - Io preferisco la versione precedente, quella dei demo tapes del '74: gronda schizofrenia da tutti i pori. Mi guarda sinceramente stupito: - Come fai a conoscere quella versione? - Ho i miei canali. In generale le versioni grezze mi piacciono più del lavoro finito: in un certo senso il prodotto finito è morto, mentre nelle prove senti pulsare la vita. Il loro massimo per me è The Blow-Up, lo preferisco di gran lunga a Marquee Moon. Pensa a un brano come Little Johnny Jewel: capolavoro assoluto. - Non hai tutti i torti, gli album in studio non riescono a catturare quel non so che di crudo delle improvvisazioni sul palco. Ma fra la musica precedente non c'è proprio niente che ti piaccia? - Sì, certo, qualcosa c'è. Per esempio Father's Shout, l'intro di Atom Heart Mother: è indiscutibilmente geniale. Ci sono anche singoli brani che nel loro genere sono perfetti, tipo The Musical Box. Però in generale c'è troppa enfasi, è un difetto congenito di quel genere di musica: pensa ai Queen. A me interessa la sostanza, non la retorica. Come concetto di musica mi piacciono gli Stones agli esordi, prima che incominciassero a fare il verso a se stessi; fino alla morte di Brian Jones insomma. All'inizio erano perfetti: canzoni brevi, intense, senza fronzoli. - Per esempio? - Gimme Shelter, ma senza Lisa Fischer e i suoi vocalizzi. Quella grezza, cruda, solo con la voce di Mick Jagger. - Niente Beatles? - Sì, i Beatles mi piacciono, anche se sono i capostipiti di uno stile musicale un po' ruffiano tipicamente inglese. Personalmente preferisco gli americani. - E poi cosa ascolti? - Altre cose, qualcuna anche abbastanza complicata. - Tipo? Allontano il fazzoletto dal naso, giusto per rendermi conto che sanguina ancora, ma di meno, e proseguo la conversazione tamponandolo di tanto in tanto. - Pere Ubu, Neil Young, Frank Zappa, Tim Buckley, Itsuro Shimoda... - Tim Buckley e chi? - Una specie di Neil Young giapponese. Ovviamente mi piace anche Don Van Vliet. - Captain Beefheart? - Sì. Vedo che lo conosci. Si stringe nelle spalle con l'espressione di chi dice "ma per chi mi hai preso?". - Che razza di intenditore sarei se non lo conoscessi? - Secondo me in quel periodo la partita se la giocano tra lui e Tim Buckley, specie se consideri che hanno cominciato già negli anni Sessanta. Sono diversissimi ma altrettanto grandi: Tim aveva un'anima fatta di musica, il Capitano è un genio della dissacrazione. - Su questo posso essere d'accordo: sono entrambi dei notevoli sperimentatori, anche se, come ti ripeto, nella partita ci metterei anche Robert Wyatt. - Mettiamocelo pure. Comunque, a proposito di Tim, a me piace particolarmente il suo primo periodo, quando aveva diciannove anni e quella voce da angelo nevrastenico, come in Pleasant Street. - È una canzone sulla droga, lo sapevi? - L'avevo capito: you wheel, you steal, you feel, you kneel... - A proposito, come ti rapporti con la droga? - Io? - Siamo solo noi due qui dentro, mi pare. - Non mi rapporto. - Cioè? - Non m'interessa. Penso che sia da prendere in considerazione solo per un eventuale suicidio. - Cosa ne pensi di Heroin di Lou Reed? - Non mi piace. - Nel suo genere è un capolavoro. - Può darsi, ma la detesto. - Perché? - Che ne so? La odio. - Non scuotere la testa. - Cazzo, mi sono macchiato la maglietta. - È troppo presto per togliere il fazzoletto, sanguini ancora. Bagna una salvietta e si mette a strofinare con delicatezza le macchie di sangue cadute sopra il mio petto. - Ho un rapporto controverso con i Velvet - gli dico per giustificarmi. - S'era capito. Comunque, per tornare a Tim, io preferisco di gran lunga il periodo di Starsailor. Sorrido: - Gusti da intellettuale. - Sono un intellettuale, altrimenti non potrei apprezzare Van Vliet, ti pare? Con il Capitano siamo molto al di là dei confini del pop-rock. - Più che altro prende un po' tutti i generi e li rivolta come un calzino. - Lo sapevi che picchia i suoi musicisti finché non riesce ad ottenere esattamente il risultato che ha in mente? - Sì, l'ho sentito dire. Genio e sregolatezza. - Ma la musica classica non l'ascolti? - Poco. Ho bisogno di capire il mio tempo e la classica non mi aiuta. Sento che non sono ancora pronto. Quando il mio sangue si calmerà, credo che ascolterò Bach. - Per adesso non s'è calmato: esce ancora dal naso. - Oh cavolo, ma non smette mai? - Perché proprio Bach? - Perché per Bach la musica è il linguaggio di Dio, come la matematica. - E il jazz? - Non ascolto il jazz. - Questo è un difetto, dal mio punto di vista. Ecco perché non apprezzi gran che i Soft Machine. - Non posso farci niente: il jazz non mi piace. - Be', hai detto che ti piace Little Johnny Jewel: è tipo un po' jazzata nella parte centrale. - Tipo. Ma poi no, non è vero: è punk, lo-fi e sgangherata. Genio puro. - Mi sa che sulla musica ti straccio. Scuoto la testa con un sorrisetto. - Mi sa di no. - Mi sa che dobbiamo giocarcela sul campo. - Cioè dove? - In qualche pub di Torino. - Dove vai di solito? - Al Doctor Sax. Fanno un po' tutti i tipi di musica. Ci sono anche dei gruppi nuovi che suonano musica inedita. - Mi sa che ci vengo anch'io domani. - Okay. Rimane vicino a me senza dire più niente. Appoggio la nuca contro il muro fissando il soffitto, e mentre le ultime gocce di sangue mi colano tiepide e dolciastre giù per la gola mi rendo conto, con improvviso stupore, che per la prima volta dopo molti mesi mi sento quasi bene.